Io ho risolto così per ordinare la scatola all'interno, geek box come se piovesse:
Anno 1800 è, a quanto pare, tratto da un videogioco che io non ho mai giocato, per cui nello scrivere questa recensione non farò alcun parallelismo.
È un gioco per 2-4 partecipanti, di durata compresa tra i 90 e 180 minuti, adatto a un pubblico abituale e basato su meccaniche di gestione risorse, albero tecnologico, gestione mano.
Come si gioca ad Anno 1800
La propria plancia è composta di edifici (fabbriche, porti e poi navi, commerciali e da esplorazione) precostruiti e altri che edificheremo nel corso della partita. Ogni edifico ha due spazi per ospitare fino a due lavoratori: nel turno in cui vorremo produrre una risorsa sarà necessario spostare uno dei nostri lavoratori ancora disponibili in uno spazio libero per ottenere la risorsa desiderata (non ci sono segnalini che si accumulano da un turno all'altro, la produzione è estemporanea).
I lavoratori sono di cinque colori, sempre più specializzati e assegnabili a fabbriche sempre più sofisticate. Partiremo con nove, ma possiamo acquistarne di nuovi, così come promuoverne alcuni a un rango superiore, disponendo delle risorse necessarie.
In questo gioco a ogni lavoratore che si ha corrisponde una carta personaggio, nella propria mano. Il personaggio ha un costo per essere calato sul tavolo e un beneficio che si attiva una volta giocato. Quando si prendono nuovi lavoratori, o volontariamente o come beneficio di altre carte o per aver preso un'isola che ne fornisce alcuni, è obbligatorio anche pescare le corrispondenti carte personaggio da un mazzo comune, aumentando l'ampiezza della propria mano.
Si può espandere la propria plancia acquisendo isole vicine, che hanno un bonus e nuovi spazi edificabili, o isole lontane, che forniscono merci esotiche per gli edifici più avanzati.
Si possono comprare le merci che ci mancano direttamente dagli avversari, che in tal caso ricevono il pagamento (oro) direttamente dalla banca.
L'oro viene poi speso per recuperare i lavoratori impiegati nelle fabbriche e renderli subito disponibili, senza dover spendere azioni preziose in turni di reset.
La fine della partita è innescata dal primo giocatore a esaurire la propria mano di carte. A quel punto si conclude il giro, se ne fa un altro, e poi si contano i punti.
Questi sono dati dalle carte personaggio giocate e poi da cinque carte obiettivo pescate a inizio partita, che orientano la strategia collettiva (alcune di queste carte potrebbero essere azioni bonus e non dare punti vittoria, comunque in linea di massima ce ne saranno tre/cinque che forniscono punti).
Ci sono inoltre altre carte, zoo e museo, in cui si mettono i lavoratori finali per ottenere altri punti. Queste vengono pescate con un'azione apposita che fa spendere segnalini esplorazione (o sono il bonus di carte personaggio).
Ambientazione
So che Anno 1800 è tratto dall'omonimo videogioco, come dicevo in apertura. Non so dirvi quanto sia a esso aderente, anche se mi riferiscono che manca la parte bellica.
Appurato questo, il nostro gioco non è né una simulazione, né qualcosa in cui il tema sia al centro del design, o anche solo particolarmente sentito.
Quello che andrete a intavolare è un gestionale puro, senza fronzoli o eccezioni, in cui vi dimenticherete molto presto che siete nel 1800 o in qualsiasi altro secolo.
Materiali: millions of tokens
È il setup il primo scoglio di Anno 1800, con un sacco di tipi diversi di fabbrica da ordinare. Vi consiglio quindi un'oculata divisione in bustine o un organizer. Per fortuna le merci non sono poi rappresentate fisicamente, altrimenti sarebbe una tragedia.
In ogni caso, tutti i materiali sono nella norma, con la parte in cartone bella spessa e robusta, le carte standard e una manciatina di altre cose (per chi volesse, c'è l'unboxing degli Apriscatole). Nulla da segnalare.
Iconograficamente è chiaro, indipendente dalla lingua, con l'unico neo di avere qualche simbolo un po' piccolo sulla scheda giocatore.
Meccaniche: la corsa che non è una corsa
Quarantasei risorse e cinque tipi diversi di lavoratori, basterebbe questo a scoraggiare un neofita. Invece Wallace escogita un sistema per il quale questo gigantesco albero tecnologico non solo ha coerenza interna, ma viene anche gestito con facilità: sugli edifici produttivi tu piazzi solo il lavoratore, la produzione è estemporanea e va spesa immediatamente, senza possibilità di immagazzinamento. Le uniche tre risorse che metti via sono l'oro e i segnalini esplorazione e commercio (quelli delle navi), ma funzionano in modo diverso da tutte le altre dell'albero.
Quello che davvero manca è una tabella inclusa nella scatola (è scaricabile da BGG) con tutti i collegamenti tra le varie risorse, perché, oltre a essere scomodo, ogni volta che ti serve qualcosa di complesso devi ricostruirla a posteriori e perdi tempo.
La meccanica principale caratteristica del gioco però risiede nel fatto che più aumenti la tua forza lavoro, più dovrai soddisfare carte per chiudere la partita. Il concetto, non nuovo e in qualche modo mutuato da Antiquity / The Great Zimbabwe, è però qui più sfumato: in Anno 1800 non vince chi chiude la partita per primo. Al massimo prende un bonus di sette punti. Quindi, in teoria, se tutti al tavolo puntassero esclusivamente a potenziarsi molto, comprando tanti lavoratori (e quindi tante carte da aggiungere alla mano), la partita sarebbe virtualmente infinita (almeno fino all'esaurirsi dei mazzi).
Ovviamente non è così: c'è un punto di svolta in cui quello che produci è superiore a quello che consumi, per cui il motore che hai messo in piedi porterà all'esaurimento delle carte in mano e quindi alla conclusione. E, per fortuna, c'è sempre qualcuno che riesce a mettere su un motore più rapido per chiudere e questo – di solito, non sempre – gli consente di vincere, per i sette punti e per non aver dato tempo agli altri di essere ugualmente efficienti...
...ma non è sempre così. Perché come dicevo nella spiegazione, qui i punti vittoria si fanno sì con le carte calate, ma anche con le cinque carte finali che danno obiettivi di gioco. E con le carte zoo/museo, quelle pescate in corso di partita. Per cui può capitare che anche chi ha chiuso per primo la partita, non vinca.
Questa meccanica ha il pregio di cambiare ogni volta il volto generale alla partita, perché l'orientamento su cosa produrre e in che modo farlo sarà anche dettato dalle cinque carte finali, ma anche il difetto di lasciare molti punti da una parte per chi non ottimizza davvero il suo gioco (nel senso che non cerca la via migliore e più rapida per consumarsi la mano), dall'altra di relegare alcuni punti – a volte determinanti – alla pesca casuale di carte zoo/museo.
Ho citato il fattore fortuna: non solo in queste carte pescate, ma anche nei due tipi di territori che prederete, poi nelle carte personaggio.
Per i territori, pescarne uno grande con una nave ti dà di solito una spinta migliore, rispetto ai lavoratori aggiuntivi che si portano appresso le loro carte, tant'é che quando prendo uno di quei territori lo ritengo quasi più un malus che un bonus. Quelli piccoli ed esotici sono poi un terno al lotto: a parte il cotone, le altre risorse sono random: puoi azzeccare quella che ti serve alla prima, oppure devi continuare a prenderne altri, con le relative carte (e azioni spese).
Per le carte personaggio ci possono essere tre elementi che influenzano quanto bene andrà la vostra partita:
- cubi-lavoratore viola disponibili fin da subito, che sono molto importanti per una serie di strutture e soprattutto per le navi;
- carte che vanno in combo con le risorse che già producete;
- carte che ne fanno scartare altre o che danno azioni gratuite o altre cose spendibili e non magari bonus come lavoratori di altri colori (che non siano il viola).
Insomma, la fortuna, in questo gioco, è regolata a un livello più alto di quella che il giocatore medio di eurogames di questo tipo e peso (la durata non è poca) è abituato a fronteggiare.
Come ultimo punto cito le navi e il sistema di commercio ed esplorazione. Più gioco e più penso che le navi, di entrambi i tipi, siano molto importanti, se non fondamentali. E se dovessi scegliere tra le due categorie, a sorpresa direi quelle esplorative, anche se il commercio ha utilizzi più immediati e apparentemente palpabili. Il fatto è che le navi esplorative sono quelle che ti consentono 1) di chiudere la partita prima degli altri e 2) di pescare tante carte zoo/museo.
Quelle commerciali consentono di supplire alle proprie mancanze produttive (anche se gli avversari ringrazieranno, dato che fornirete loro oro) e mettono in moto l'elemento di interazione diretta del gioco. Un'interazione non distruttiva, ma costruttiva: nessuno perde nulla, tutti guadagnano qualcosa. Meccanicamente non solo evita di inserire frustrazione in un gioco già abbastanza teso e cervellotico, ma anche ulteriori rallentamenti in un gameplay che già ha la tendenza a trascinarsi per via della sua struttura complessiva.
Dinamiche: l'interazione costruttiva
Vedere se hanno esaurito un edifico o commerciare sarà l'unico momento in cui alzerete la testa dalla vostra plancia e dalle vostre carte. Diversamente farete cadere le gocce di sudore per lo sforzo cerebrale direttamente sul vostro micromondo.
Le strutture produttive sono limitate a due per tipo, col vincolo per il singolo giocatore di non poterle comprare entrambe. In due non c'è preoccupazione per questo aspetto, in quattro dovete già pensare in partenza che qualche nave commerciale vi sarà indispensabile. In ogni caso, anche in due, non è quasi mai conveniente replicare un edifico già preso dall'altro: risparmiate mosse e risorse, usando le navi, che di fatto forniscono merci jolly, anche se all'avversario va l'oro in pagamento.
A proposito della scalabilità, alla fine a mio parere il numero ideale è proprio quello mediano: tre giocatori. Non ci saranno edifici per tutti (è un bene), ci sarà abbastanza varietà di produzione da non dover fare tutto da soli (come spesso accade in due), il downtime non sarà eccessivo come in quattro.
Estetiche: la mia esperienza con Anno 1800
La cosa che più mi ha lasciato dubbioso sono proprio le condizioni di vittoria. Avrei voluto che il riuscire a ottimizzare il gioco per la chiusura fosse più remunerativo, rispetto a altre carte.
Ad esempio, la carta che dà sei punti solo prendendo un'isola piccola, è parecchio forte. È vero che ogni isola ti dà anche tre carte, ma se a quel punto tu miri a non chiudere, ma solo ad accumulare più punti possibile, ne puoi anche prendere quattro (il massimo) e portare a casa ventiquattro punti, oltre a molte carte tra le quali sicuramente ne troverai alcune che combaciano col motore che hai costruito.
Insomma, i sette punti di ricompensa per la chiusura mi stanno un po' stretti, per cui tendo sempre a includere nelle mie partite la carta finale che toglie due punti per ogni carta che ti è rimasta in mano (le cinque carte finali le puoi sorteggiare o anche scegliere, da regolamento), per valorizzare questo effetto corsa.
La seconda cosa è che davvero a volte il fattore fortuna pesa, in ogni aspetto. È un gioco dai sottili equilibri e una continua ottimizzazione di mosse e di tempo speso e non sempre si riesce a raddrizzare una pesca sfavorevole.
Tuttavia, proprio per la sua opacità, per il suo essere quasi un sandbox, per il fatto che non sai bene in che direzione andare, non solo alla prima partita ma spesso anche nelle successive, mi ha lasciato subito una gran voglia di riprovarlo, non tanto per tentare strade alternative, quanto per riuscire a ottimizzare sempre meglio quel che mi capitava.
Non è un gioco che ti dice cosa devi fare: sei tu che devi costruire la tua strada in autonomia. È una cosa che ho sempre apprezzato, nei giochi.
Conclusione
Erano anni che non si vedeva un Wallace così. Forse – sensazione mia – se il gioco non fosse stato fatto su commissione e se non ci fosse stato un modello a cui riferirsi, sarebbe uscito ancora meglio.
Materiali ***
Grafica/disegni ***
Ergonomia **
Ambientazione **
Regolamento ****
Scalabilità **
Rigiocabilità ***
Originalità ***
Interazione ***
Profondità ***
Strategia ****
Tattica ***
Eleganza **
Fluidità ****
Legenda: – (pessimo/assente), * (scarso), ** (sufficiente), *** (buono), **** (ottimo), ***** (eccellente)