Leggere Masini è come ascoltare Aldo Rock: ti motiva e ti sprona!
- Genere: wargame, multigiocatore, competitivo
- Target: giocatori medio-alta esperienza
- Scalabilità: 1-4, giocabile in solitario o con meno di 4 giocatore tramite bot
- Meccaniche principali: controllo d’area, maggioranze, menù di azioni, card-assisted
- Meccaniche secondarie: unità nascoste, sequenza mobile del turno, tracciati paralleli, condizioni di vittoria differenziate
- Importanza storica: Da dove si può partire per descrivere il titolo che ha inaugurato una delle serie più importanti degli ultimi decenni? Non dalle sue innovazioni, così tante da renderlo del tutto differente per natura rispetto agli altri wargame. Non dalle sue asimmetrie, che cambiano costantemente nell’evoluzione della partita. Non dalla sua resa simulativa di situazioni del tutto non convenzionali, che francamente è così evidente da non essere neanche messa in discussione. Neanche dalla grande abbondanza di titoli che usano il sistema di base o sue variazioni, che hanno coperto conflitti che vanno dall’antichità agli anni più recenti come in questo primo titolo dedicato al Centroamerica (e anzi, con un titolo fantascientifico in procinto di essere pubblicato). Forse basta cominciare dal suo nome: COIN, Counter-Insurgency, ossia azioni controinsurrezionali, a metà tra il militare e il politico. Quella roba che ti ritrovi costantemente al telegiornale, quando parlano di posti che neanche sapresti collocare su di una cartina geografica e che invece sono importantissimi per la loro posizione, per una risorsa naturale o perché le grandi potenze hanno deciso di farne il loro campo di battaglia tra rivolte, colpi di stato e azioni militari più o meno riuscite. E così facendo, questi giochi che affrontano questi temi hanno letteralmente rivoluzionato il concetto stesso di wargame.
- Elementi di innovazione / twist: Ci sarebbe davvero tanto da dire sulla creazione di Volko Ruhnke, analista CIA specializzato nella formazione dei futuri “operativi” tramite supporti ludico-interattivi, appassionato wargamer e storico, diventato simbolo del game design simulativo “post-classico” degli ultimi anni. Cominciando dalle basi, la prima innovazione è relativa all’ordine del turno. Nel senso che non c’è un ordine del turno. O almeno, non un ordine del turno fisso. Perché prima di tutto si pesca una carta dal mazzo eventi e la si mette nel mezzo, leggendo la sequenza delle possibili attivazioni per quel turno. Il primo ad essere indicato decide se agire o meno: se agirà quasi sicuramente il turno dopo dovrà stare fermo, mentre se passerà la mano sarà (quasi sempre) sicuro di agire nel turno successivo e spesso accumulerà risorse bonus. Però qui scatta un altro dettaglio fondamentale: più intensa e potente sarà la sua azione, maggiore sarà la possibile azione di chi lo segue nell’ordine sulla carta (un’elegantissima rappresentazione del concetto di OpTempo, detto anche “ritmo operativo”). Se si considera il fatto che di solito si gioca in quattro, più o meno divisi in coppia di schieramenti... ma anche il mio “alleato” ha la sua agenda personale con le proprie condizioni di vittoria, spesso non allineate se non addirittura parzialmente opposte alle mie! Confusi? Non abbiamo ancora parlato della rappresentazione delinearizzata del conflitto, con aree in cui convivono (più o meno pacificamente) e interagiscono tra di loro (nelle maniere più impensate). Né abbiamo citato le unità nascoste o “dormienti” (lascito di Labyrinth, altra grande opera di Ruhnke), ossia quelle che ci sono ma che non le puoi quasi mai contrastare direttamente finché non entrano in azione. Oppure del fatto che ogni giocatore ha il suo set di azioni, normali o speciali, con una moltiplicazione delle asimmetrie incrociate. O della presenza di track parallele che rappresentano l’influsso di dinamiche non convenzionali e non cinetiche, come il prestigio politico, le disponibilità economiche, il credito internazionale... anche perché in un COIN una cosa è occupare un territorio, un’altra è controllarlo davvero ottenendo il supporto della popolazione. Si potrebbe dunque andare molto avanti, descrivendo casi particolari comparsi nei titoli successivi come linee di comunicazione, giocatori che scendono direttamente in campo solo a metà partita, scenari parziali e varianti aggiuntive, fazioni che hanno solo l’obiettivo di incendiare tutto e altre che devono solo spegnere i suddetti “incendi”, incarcerazioni di singoli personaggi influenti, regolamenti con tre o anche solo due giocatori, condizioni di vittoria congegnate in modo che per una fazione militarmente dominante ottenere vittorie dirette sia del tutto inutile di fronte ad avversari che agiscono quasi esclusivamente sul piano politico, alleati da mantenere in piedi ma mai troppo intraprendenti... insomma, avrete compreso che stiamo parlando di una delle serie più “diverse” e originali dell’intera storia del gioco di simulazione.
E non è ancora finita. - Longevità e alternative: A ben guardare, verrebbe quasi da dire “Un COIN è per sempre”. Tra scenari di campagna lunghi ma affascinanti, scenari parziali più abbordabili e focalizzati, diversi sistemi di gioco in solitario (bot, carte, gioco al meglio delle proprie capacità vista l’assenza di informazioni nascoste), titoli che vanno dalle Guerre galliche di Giulio Cesare all’Afghanistan, passando per la Rivoluzione americana e il Vietnam ce n’è davvero di ogni qualità e misura. Di alternative ce ne sono anche, come i più “tradizionali” card-driven (quelli in cui si gioca con una mano di carte alla Twilight Struggle o Annibale e Amilcare) ad altri giochi che si sono chiaramente ispirati quanto meno alle dinamiche della serie, se non direttamente alle sue meccaniche. Vengono in mente il fantascientifico The Expanse (con l’avvicendamento delle azioni e le condizioni di vittoria diversificate, con continui mutamenti di alleanze) e il fantasy Root (che peraltro ha più differenze che similitudini, ma resta comunque anch’esso una simulazione di conflitto non convenzionale). Però, alla fine, proprio come i diamanti... è sempre ai “veri” COIN che si finisce col tornare.
Commento
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