Ah che bello...viene voglia di giocarci. Ormai siamo quasi a metà cammino, con questi 100 giochi.
- Genere: wargame, simulazione storica
- Target: giocatori bassa esperienza
- Scalabilità: 2 giocatori
- Meccaniche principali: block game, informazione nascosta, card driven
- Meccaniche secondarie: bucket of dice, mappa ad area
- Importanza storica: Che cos’è la nebbia di guerra? Ok, questa è una domanda alla quale, molto probabilmente, anche chi non è troppo addentro al mondo dei wargame può rispondere senza troppi problemi. In fondo, è un concetto che un po’ tutti conosciamo: la nebbia di guerra è l’incertezza tipica del campo di battaglia, la mancanza o (meglio) la distorsione delle informazioni in cui un comandante militare è costretto a operare. Quante truppe ha il nemico? Dove sono? Con cosa mi sta attaccando? Su che terreno sto per muovermi? Ne aveva parlato un teorico militare il cui nome è diventato famoso: Carl von Clausewitz, autore di Della Guerra. Ora, se questa incertezza è una parte fondamentale della guerra, penserete che lo debba essere anche di quei giochi che vogliono ricostruire questa guerra, ossia i wargame, solo che agli inizi non era proprio così. Nella stragrande maggioranza dei giochi, infatti, tutte le pedine erano piazzate lì sulla mappa, coi loro valori in bella vista e senza troppi misteri sulla loro natura.
- Elementi di innovazione/twist: della nebbia di guerra ne abbiamo parlato già: le unità sono sconosciute fino al momento dello scontro, quando vengono finalmente messe a faccia in sù sul tavolo. Questo significa che se vedi arrivarti addosso cinque blocchetti nemici in formazione serrata, puoi trovarti di fronte al grosso dell’esercito nemico oppure a una serie di piccole unità lanciate in avanti come diversivo. Allora anche le tue unità più leggere e veloci diventano realmente utili, perché le mandi in avanscoperta, impegnandole in rapide scaramucce il cui obiettivo è solo quello di scoprire la natura e le dimensioni delle armate avversarie. A questo poi si aggiunge un altro elemento fondamentale: per Clausewitz il gioco più simile alla guerra non erano certo i razionalissimi e prevedibili Scacchi, bensì le caotiche carte che imponevano ai giocatori di usare al meglio le proprie risorse anche quando inferiori a quelle del nemico... e Hammer of the Scots rispetta questo principio, con la sua attivazione basata appunto su carte che ti dicono quanti blocchi puoi attivare in un impulso, o anche quali eventi speciali puoi attivare.
Nelle stesse unità (raffigurate non su minuscoli quadratini di cartone, ma su bei blocchettoni di legno grandi, colorati e piacevoli al tatto), poi, si nasconde un altro segreto: niente valori da sottrarre o dividere, ma dei pips, ossia dei punti che ti dicono quanti dadi tirare per ottenere un certo numero bersaglio indicato sul pezzo, con una certa priorità (le truppe leggere sono scarse ma attaccano prima, la cavalleria corazzata ci mette un po’ ma quando arriva devasta) e con altre regolette di dettaglio. Questi punti sono raffigurati sui lati del blocco e, quando questo subisce delle perdite, il blocchetto viene ruotato su di un altro lato che tirerà meno dadi. Sembra una stupidaggine ma non lo è: le unità hanno un numero diverso di step di perdite, da una fino a quattro, e possono anche variare le loro prestazioni sul campo con una degradazione molto più granulare rispetto a quella di un wargame classico.
E poi le regole del periodo, come quella che impone ai due eserciti (profondamente asimmetrici: tanti ma monolitici gli Inglesi, sparpagliati ma difficili da colpire gli Scozzesi) di ritirarsi nei loro territori quando arriva l’inverno. O ancora il fatto che quando il blocchetto di un nobile scozzese viene eliminato... non viene eliminato, ma passa dall’altra parte, come spesso accadeva, fattispecie che si verifica anche se durante l’inverno il nostro nobile deve tornare nel suo territorio di origine e se lo ritrova occupato dal nemico... e tanti saluti a onore e lealtà. E poi, le dissidie tra le casate principali scozzesi con uno o più possibili “Re del Nord” che lottano tra loro, i Francesi che ci mettono il naso o anche i Norvegesi che razziano le coste, o gli Irlandesi che possono cambiare di schieramento nel bel mezzo della battaglia. Ah, per i fan di Mel Gibson c'è anche un bel blocchetto Wallace che viene inseguito da mezza armata reale inglese e che di solito fa una finaccia. Ma ci sta.
Insomma, tante cose, tutte giuste dal punto di vista storico e belle da quello ludico, in un regolamento da 7-8 pagine e per partite che non superano le 2 ore. Ora capite perché un gioco del genere, anche grazie alla sua bellissima componentistica, potesse piacere non solo ai wargamer e magari aprire anche la strada a quelli che oggi si definiscono “eurowargame”? - Longevità e alternative: oggettivamente si potrebbe pensare che un gioco con solo una campagna, una mappa non tanto grande e pochi pezzi tutta questa longevità non possa averla. In effetti, alla fine si comprendono quali possono essere le strategie migliori, come l’inglese può inserirsi nella rete degli scozzesi e andare a caccia di nobili da “convincere” uno per uno, o come lo scozzese possa dare maggior fastidio alle armate nemiche attendendo l’arrivo di un nuovo inverno e sfiancandole poco alla volta... ma una cosa è sapere cosa fare, un’altra è riuscirci in mezzo al turbinio dato dalla combinazione di carte, unità nascoste, eventi particolari e tutto il resto che può succedere in questo gioco così movimentato. Ed è proprio questo uno dei tanti segreti del suo successo: che davvero nessuna partita sarà mai uguale alle altre, con un bilanciamento complessivo dato non da chissà quale complesso equilibrio, bensì dall’altalenarsi continuo delle situazioni da gestire o sfruttare, con continui possibili capovolgimenti delle situazioni. Però, se a un certo punto vorrete provare qualcosa di nuovo, beh, il mondo dei block game è semplicemente immenso. Si parte dal catalogo Columbia (magnifici Julius Caesar e Richard III, insolito il tattico Combat Infantry, suggestivo l’esotico Crusader Rex, e poi via coi classici Bobby Lee e Sam Grant, Shenandoah, Borodino, la riedizione di Napoleon... per arrivare al sandbox ipotetico Victory o addirittura al fantastico Wizard Kings!), per poi arrivare alla Worthington (serie sulla guerra d’indipendenza americana e guerra di secessione americana, serie Holdfast sulla Seconda guerra mondiale, Dunkirk...), per poi trovare derivazioni ancor più
Commento
Può un titolo entrare nella storia del gioco quasi per caso? Hammer of the Scots risponde chiaro e forte di sì. Perché in fondo è un po’ questa l’impressione che si ha vedendolo, di un piccolo miracolo di gioco che è andato al di là delle aspettative del suo autore, che forse voleva semplicemente realizzare un tributo a un sistema rimasto un po’ in disparte e seguito solo da pochi appassionati, rimodernandolo un po’, donandogli un’aria un po’ più accattivante, riducendone le regole all’essenziale... e così facendo ha creato non solo un grande titolo, ma ha aperto una strada. Perché quando il wargame davvero lo giocavano ormai in pochissimi ed era quasi scomparso dalle fiere, qualcuno con una mappa della Scozia medievale lo trovavi sempre negli eventi o tu stesso potevi tranquillamente proporlo senza sollevare chissà quale sorpresa. Anche in questa maniera la fiammella del gioco storico non solo si è conservata, ma ha fatto breccia nel cuore di molti che non lo avrebbero mai conosciuto altrimenti e ha poi addirittura tracciato la strada per altri titoli che sarebbero seguiti: i cosiddetti wargame “ibridi”, accessibili, belli, storicamente validi e davvero per tutti. Niente male per qualche blocchetto di legno.