Bellissimo articolo, concordo su tutto!
Sto partecipando al kickstarter di Barrage.
Lo faccio per tanti motivi: perché sembra un gran gioco, perché adoro le dighe e tutto quanto ci ruota attorno, perché Simone Luciani sa quel che fa e Tommaso Battista ha un cognome che mi ricorda Paperon de’ Paperoni.
Ma non è questo il punto del discorso che provo a fare: più che altro, ne è il pretesto. Mi accorgo, in effetti, che i pochi progetti che finora ho finanziato – ammesso che di finanziamento si possa ancora parlare, visto l’andazzo dei produttori di giochi da tavolo con lo strumento – sono per buona parte tedesconi, in genere in una nuova edizione che va a riempire la rumorosa indisponibilità di quella classica.
(In verità c’è stato anche un americano, in mezzo, perché io sarei anche un americano dentro - è che non ho quasi mai modo di mostrarlo.)
Una manciata di tedeschi vecchi e nuovi, dunque: con un minimo comun denominatore.
Primo: tu non prendi parte neanche a una barzelletta
Ma prima, una premessa, ché già vi vedo sbuffare come locomotive d’inizio Novecento. Io adoro classifiche e classificazioni, pertanto parlo spesso e volentieri di tedeschi e americani, giacché tali gruppi esistono: non tanto come contrapposzione necessariamente tangibile e definibile, come per guelfi e ghibellini, Beatles e Rolling Stones, comaschi e varesotti; quanto piuttosto come una polarizzazione ideale, tale che i giochi da tavolo ne risultino più o meno attratti, allineati nel campo, senza necessariamente toccare i due estremi.
Plastica, insomma - e tanta.
Basti pensare, per citare giusto un paio di campagne, a quella del gigioneggiante Cthulhu: Death May Die; a quella a scatola chiusa (prima e, pare, anche dopo la consegna) di A song of ice and fire; o a quella, ancor più iconica, di Times of legends: Joan of Arc - ma è poi uscito, sì?
Pledgia. Poi tira un d20
Ecco.
Agli antipodi ci sono le campagne dei tedeschi - soprattutto quelli molto attesi, nuovi o ristampati. Il giocatore da tedeschi è un animale raffinato, un po’ snob, che oggi vuole sapere esattamente quello che troverà nella scatola domani, e che deve essere sicuro che domani non sia dopodomani.
Per farla breve, mentre l’americano ha pellaccia dura, il giocatore tedesco non potrebbe sopravvivere a un Heroquest 25.
Prima di saltare a facili conclusioni, va però considerato almeno un altro elemento tutt’altro che secondario (ce ne sarebbero anche degli altri; ma non è nei miei intenti, né tantomeno nelle mie facoltà): il bacino d’utenza.
Possiamo spaccare tutti i capelli che vogliamo in quattro, in otto, perfino in nove (se non siete uno di quelli a cui dà fastidio avere il volume della radio su un numero dispari); e però un gioco alla tedesca, finanche il più bello del reame, non fa i numeri di un gioco di Lang nemmeno sprecando uno dei tre desideri del genio della lampada.
La gente vuole lo stretch goal
Andiamo al sodo.
Prendiamo la tragicomica campagna della ristampa di quel gran pezzo di gioco che è Principi del Rinascimento.
Com'ebbi a dire nella recensione, tale campagna fu un notevole concentrato di imperizia, inesperienza, impreparazione e domande pignole - tanto che, avendo io aderito alla campagna parallela di Giochistarter, nemmeno sapevo se i miei soldi avrebbero eventualmente contribuito al raggiungimento dei pur miseri stretch goal.
Andata come sia andata, è innegabile che quel gioco - che pure è riconosciuto come un capolavoro - abbia attirato poco. Kickstarter non era - e forse ancora non è - terra per tedeschi. Intendiamoci: si parlava di ripubblicare un tedesco fatto e finito, non serviva inventarsi niente. C'era solo da migliorare il vecchio - e, parlando di componenti, c'era parecchio da fare. (E anzi, per la verità ce ne sarebbe ancora.)
Perché, soprattutto se si vuole ripubblicare un gioco ormai introvabile - o anche solo dargli una seconda vita - è questa l'unica strada percorribile: dato che non ci si può inventare nulla per quanto riguarda le meccaniche (sarebbe anzi controproducente), bisogna lavorare sui materiali.
Bisogna tirare fuori dal cilindro una seconda edizione di Vanuatu con materiali da pelle d'oca - con buona pace dell'ergonomia, notevolmente peggiorata.
Bisogna, ancor meglio, creare un piccolo grande gioiello come la Roxley Games ha fatto per Brass, in una campagna che - a dire il vero - ha insegnato che sì, in realtà spazio per inventare ce n'è, se l'intento è davvero quello di offrire qualcosa di valido - e a patto di saperlo proporre: mi sta benissimo un gioco alternativo, in questo caso Brass: Birmingham, magari venduto a prezzo scontato col primo, a patto che però mantenga sostanzialmente immutato - eventualmente solo migliorato - quello che in fondo la gente voleva: ovverosia, riavere disponibile Brass.
(Discorso ben diverso, insomma, dalla porcata che ha accompagnato la seconda edizione di Container che, figa quanto si vuoie, in pratica non permette di giocare a Container.)
27 giorni
L'antifona l'avete colta: in una campagna Kickstarter servono i contentini. Gli americani ne hanno quanti se ne vuole; i tedeschi devono ingegnarsi, se vogliono uscire dalla mediocrità di un progetto finanziato con poca convizione: servono materiali, comunicazione, umiltà, ché - da solo - il gioco solido non basta.
(Questo almeno fino all'avvento di Lacerda; ma questa è un'altra storia e, in fondo, in quel caso non stiamo davvero parlando di giochi alla tedesca.)
Tornando al minimo comune denominatore, dunque: Principi del Rinascimento, Vanuatu, Brass, Container. Quattro campagne per la riedizione di altrettanti capolavori, quindi in grado di partire alla pari, le cui sorti sono state decise dalla capacità delle case editrici di muoversi nell'angusto pertugio di libertà che kickstarter concede ai giochi alla tedesca, siano state lecite o meno le scelte fatte.
Questo, dunque, ci riporta a Barrage.
Bundesdiga
Nel momento in cui sto scrivendo - mancano sedici giorni al termine della campagna - il gioco veleggia ben oltre i duecentodieci mila euro.
Alla fine, se l'andazzo rimane questo, davvero il nuovo gioco della Cranio Creations rischia di fare numeri da Lacerda. Essendo io, come detto, tra chi ha aderito, ne sono ovviamente ben lieto; ma - sempre ipotizzando che davvero andrà così - non sarà stato un risultato scontato, né tantomeno facile.
Vero: il gioco - dalle anteprime sul prototipo e dalle prove a Essen - sembra buono, forse buonissimo; e sulla cosa vi sono pochi dubbi.
Vero: ormai 'sta zolfa dei materiali è cosa nota, e a un'azienda di volponi come la compagine italiana la cosa non sfugge di certo.
Eppure i giorni che hanno preceduto il lancio - peraltro rinviato di cinque giorni - non lasciavano intravedere poi così tanto ottimismo: a errori un po' dilettantistici (il video nello scantinato) si è infatti accompagnata una sgradevole sensazione da sfruttamento della piattaforma.
Beninteso: che Kickstarter stia diventando sempre più uno strumento di prevendita, con l'innegabile pregio di azzerare il rischio d'impresa, è ormai un dato di fatto; e però un conto è garantire comunque un vantaggio a chi ti vuole comunque dare fiducia, un altro è dare l'impressione - ripeto: impressione - di volerlo fregare sparando - pronti, via - dei prezzi da superproduzione.
Per quanto mi riguarda, quello del poter giocare il titolo sei mesi prima non è un argomento sufficiente; e anzi, a dire la verità, dato l'enorme interesse che ho per il titolo (foss'anche solo per l'ambientazione), nemmeno pretendo di guadagnarci qualcosa rispetto a chi lo prenderà in negozio o su internet. Quello che chiedo - e, in fondo, pretendo - è di non perderci rispetto a questi ultimi, che è cosa ben diversa.
Quelli della Cranio sembrano averlo capito e, ora, la campagna di Barrage sembra quella di un ottimo gioco che val la pena di finanziare - perfino alla quota più alta, io, che sono quello dell'elogio a Glen More e alla sua meraviglia spartana.
Buon per loro. Buon per me.
Mi sono perso
Non è un compito facile, gestire una campagna kickstarter, soprattutto se parti col malus di dover lanciare un gioco alla tedesca. Per raggiungere buoni risultati bisogna spenderci tempo e risorse, curando il tutto finanche nei minimi dettagli, cosicché al momento del lancio - notoriamente il più importante della campagna - l'acquirente sia non solo informato sul prodotto, ma pure convinto di volerlo.
In definitva, è notevole constatare come le campagne di un tedesco e di un americano, in fondo, siano come i giochi che propongono: le seconde possono permettersi di far leva sull'ambientazione e di sfruttare - mi si consenta il parallelo - vere e proprie living rule; le prime, invece, funziona solo se pianificata bene e realizzata meglio.
Le solite banalità, in pratica: tattica contro strategia; flavour contro concretezza; divoratori da fast food contro fighetti da ristorante stellato.