Nessun Lacerda è stato maltrattato nella stesura di questo articolo
Il game design moderno, in ambito german, si trova ad affrontare un passaggio importante: da un lato le idee migliori sono state create, modificate e rivoltate come un calzino, tanto che trovare uno spunto davvero originale in un gioco da tavolo di tale genere è ormai cosa rara; dall'altro si tende a ricorrere sempre più spesso all'ibridazione - con risultati altalenanti - proprio per ricercare tale originalità nella commistione tra generi e andare a intercettare una fetta di pubblico più ampia.
L'altra “soluzione” è quelle di cercare di stupire l'utente coprendo idee trite e game design piatto con un sacco di strati, in parte per cercare di ricreare l'ambientazione proposta (e in un certo senso “ibridare” il titolo, come sopra), in parte per dare l'impressione di profondità e complessità che in realtà, sotto, non ci sono.
Ci sono diversi autori che sono maestri in questo tipo di operazione, che è anche la più semplice e a buon mercato per creare un cosiddetto gioco per hard-gamers. Vediamo i diversi punti di questo tipo di game design (che spesso esita nel bad game-design) e portiamo qualche esempio concreto per ciascuno.
Espediente #1: la tecnica dei mille bonus
Aggiungere pezzi a una singola azione è il primo sistema per mascherare un qualcosa di lineare complicandolo. Si crea un'azione, ci si mette un bonus, ci si mette una conseguenza su un'altra azione, una nuova sotto-azione sbloccata, un pezzo di collezione set per fine partita.
Questo tipo di game-design stratificato sortisce i seguenti effetti:
- aggiunge complicazione, rendendo le scelte meno significative, diluendo quella che è l'importanza e l'incidenza della singola scelta. Apparentemente un'azione che è gravida di tante piccole conseguenze dovrebbe portare una maggiore profondità, ma in realtà quando una scelta singola e pesante finisce per impattare su tutta la partita, il suo peso in profondità è molto più grande rispetto a tanti micro-bonus che hanno ripercussioni solo nell'immediato;
- rende il caso più incisivo: quando ci sono molte piccole cose legate a un'azione, spesso la loro attivazione o la non attivazione dipende non dalla volontà del giocatore, ma dalla situazione temporanea. E tuttavia quel piccolo bonus potrebbe fare la differenza per una sotto-azione in più o un set che poi fa punti vittoria. Più sono i bonus legati a un'azione, più è improbabile incastrarli con volontà e coscienza, facendo perdere significatività alle propria scelte;
- aggiunge una sorta di comodo paracadute per chi gioca male. La sensazione di prendere sempre e comunque qualcosa gratifica nell'immediato qualunque azione intrapresa e qualunque giocatore, indipendentemente dalla reale efficacia a lungo termine, per questo tale tipo di costruzione è particolarmente gradito a una buona fetta di giocatori;
- toglie eleganza, che in un gioco da tavolo è un concetto che è sempre positivo. Per capire meglio questo termine vi rimando al suo articolo, ma qualsiasi meccanismo di gioco che abbia la stessa resa con minore spesa è sempre apprezzabile di uno che complica le cose per avere il medesimo risultato.
Esempio:
In The Gallerist di Lacerda, una delle azioni esecutive (e già siamo a un'azione secondaria, per attivare la quale devi avere sbloccato un assistente con un'altra azione, che a sua volta libera un ulteriore bonus sulla plancia personale, che è differente a seconda dell'assistente liberato...) consente di usare un contratto precedentemente acquisito (altra azione) per piazzarci un assistente ed eseguirne l'azione esecutiva (differenti anche in questo caso, da contratto a contratto); non solo, ma in seguito il contratto può essere usato per vendere un'opera e in tal caso l'assistente usato si sblocca e il contratto di gira scoprendo una nuova azione esecutiva.
Contro-esempio:
In The Great Zimbabwe della Splotter Spellen hai solo tre azioni possibili. Nessuna di queste porta bonus o altri piccoli incastri. Spesso poi, al tuo turno, una di queste azioni la escludi a priori, per la situazione di gioco. Eppure ogni singola azione, a partire già dal primo round, porta conseguenze pesanti non solo sul tuo gioco, ma sull'intera partita, a lungo termine, influendo su tutti i giocatori al tavolo, sulle loro azioni e sulle contromisure che prenderanno.
Espediente #2: nascondere la mancanza di originalità dietro una montagna di regole
Ci sono autori famosi che hanno portato parecchia originalità nei giochi da tavolo (es. Wallace), altri altrettanto famosi che ne hanno portata meno perché magari tendono a ripetere un po' sempre le stesse cose (es: Rosenberg), altri che pur prediligendo la struttura a bonus concatenati di cui abbiamo parlato sopra non rinunciano a mettere qualcosa di nuovo (Pfister), altri che infine non introducono nessuna innovazione e quindi, mi sono reso conto, non avevo mai avuto occasione di citare (Lacerda).
In linea generale, l'impressione che si ha davanti a un gioco da più di venti pagine di regole è quella di un “giocone” (termine che rimanda ad un certo analfebetismo funzionale ludico), di qualcosa di complesso (laddove abbiamo ben visto la differenza tra complesso e complicato: cfr. articolo), di qualcosa anche di “per forza” bello, perché “se ci hanno messo dentro tante cose...”.
Tante cose però sono spesso già viste e un mero assemblaggio di meccaniche trite e conosciute. Mettere assieme cose non originali può comunque portare a qualcosa di originale, ma più spesso porta solo ad accrocchi tante cose.
Esempio:
Lisboa di Lacerda ha tante meccaniche, prese da vari giochi (come la costruzione di tableu, la collezione set, le merci da spedire ecc), me nessuna declinata in modo originale ed anche l'assemblaggio finale è più una somma di elementi che non un risultato unico e amalgamato.
Maracaibo di Pfister è il risultato di un assemblamento dei suoi precedenti giochi, dal giro circolare di Great Western Trail, ai tracciati azionari simili a Mombasa, il tutto nascosto dietro una spiegazione da 40 minuti che maschera questo collage dietro alla sua complicazione.
Contro-esempio:
Through the Ages, ma anche Great Western Trail sono comunque giochi costituiti da un grande numero di meccaniche ed elementi, ma ciascuno introduce elementi nuovi nel gioco da tavolo ed ha il merito di avere originalità.
Bus della Splotter Spellen ha solo 7 pagine di regole, ma almeno tre idee nuove e originali e una profondità che non è seconda a giochi da 20+ pagine.
"Lacerda è il Michael Bay dei giochi da tavolo"
Espediente #3: i minigiochi appiccicati
Il giocatore ha così la falsa e immediata impressione che sia tutto collegato, quando – analizzando bene il gioco – ci si accorge che togliendo un pezzo (o aggiungendo un altro minigioco a caso), la sostanza non cambia.
I minigiochi nascondono in generale:
- Pochezza di scelte e di profondità strategica. Piccoli giochi per piccole conseguenze: non si è creata una vera, globale e complessa economia di gioco, coinvolgente le meccaniche a 360°, ma solo pezzi accostati.
- Nella foga di trovare per forza una diversa meccanica per ogni minigioco – perché il primo effetto collaterale è quello di doverli far apparire diversi – si rischia anche un progressivo scollamento dall'ambientazione.
- Difficoltà di bilanciamento, dato che più se ne creano, meno il giocatore avrà tempo e occasione di sfruttarli tutti.
Esempio:
Gùgōng, di Andreas Steding, è composto da 7 minigiochi collegati solo da qualche bonus incrociato. Aggiungendo un ipotetico ottavo gioco o togliendone uno dei sette, il risultato non sarebbe cambiato e la struttura del titolo sarebbe rimasta la stessa.
KanBan, di Vital Lacerda è allo stesso modo composto da 7 parti, ciascuna con le proprie regole e la propria funzione. Sebbene apparentemente legate all'ambientazione, se ne sarebbe tranquillamente potuta aggiungere un'ottava (di marketing ad esempio) o toglierne una, con i relativo bonus, e il gioco avrebbe funzionato lo stesso senza troppo scossoni o aggiustamenti.
Contro-esempio:
Che pezzo volete togliere a Indonesia? Le fusioni? Perderebbe senso il gioco. Il tonnellaggio dei trasporti? Non avrebbe mordente la fase di spedizione. Non c'è nessun pezzo superfluo nel gioco, tutti i meccanismi principali si incastrano in modo consequenziale e logico, nessuno ha il sapore si posticcio. Lo stesso si potrebbe fare per altri classici come Puerto Rico o El Grande o Alta Tensione o Imperial.
Espediente #4: varianti per tutti i gusti
Specie negli ultimi tempi, specie grazie a Kickstarter, gli editori si sono resi conto che per raccattare più pubblico possibile è bene fornire più versioni possibili dello stesso gioco.
Avendo a disposizione un campione statistico, ci si è resi conto che dotare un gioco della versione solitario, di una versione competitiva (quando collaborativo), o facendo il contrario quando competitivo, aumentava le vendite.
Il problema è che tutte queste modifiche, raramente sono testate a dovere e che se un gioco nasce in un modo, spesso non funziona nell'altro o quanto meno funziona peggio.
Al di là di queste macro differenze, ci sono poi tutta una serie di varianti messe per rendere il gioco malleabile e piacione, cosicché ciascuno possa trovare la sua giusta dimensione. Tutte queste varianti disponibili sottendono però spesso anche una buona dose di incertezza nel game-design, la paura di tracciare una rotto definita, per non scontentare nessuno. Un autore dovrebbe avere un'odea di come vuole il suo gioco giri, esserne convinto, proporla come la ritiene giusta per le sensazioni che vuole trasmettere.
Esempio:
In Anachrony c'è la possibilità di avere bonus/malus sul tracciato tempo, usare o meno il dado dei viaggi nel tempo, plance simmetriche o asimmetriche.
Contro-esempio:
Caylus, come peso paragonabile ad Anachrony, non ha mai avuti bisogni di varianti o eccezioni per eccellere.
“La perfezione (nel design) si ottiene non quando non c'è nient'altro da aggiungere, bensì quando non c'è più niente da togliere.”
Veniamo ora a due aspetti non prettamente meccanici, ma comunque rilevanti: l'ambientazione e i materiali.
Espediente #5: l'apparente simulazione derivata dalla complicazione
Esempio:
Vinhos di Vital Lacerda ha lo scopo di ricreare la produzione vinicola portoghese. I minigiochi da cui è composto, però, sono per lo più astratti e poco legati a quella che dovrebbe essere l'ambientazione. Già a partire dal sistema di selezione azioni che è un gioco a sé stante, per finire alla griglia dell'export che vive di regole proprie e viene riempita come un puzzle.
Dal lato dell'eccessiva complicazione, sono indimenticabili i gettoni viola CEPs di CO2 (prima edizione), le cui regole e gestione erano l'incubo di quel regolamento (semplificato poi nella seconda edizione, a riprova del fatto che anche l'autore si rese conto di aver forse esagerato).
Contro-esempio:
Pochi Acri di Neve ha un regolamento più snello della maggior parte dei giochi citati, eppure con una semplice meccanica di deck-building e gestione mano, simula la difficoltà di approvvigionamento e rifornimento delle truppe nella guerra in Canada, dando con semploiocità un'idea precisa della caratteristica saliente di quella guerra.
Espediente #6: nella scatola grande c'è il grande gioco
Qui il mezzo usato è più sottile e sfrutta la convinzione inconscia dell'acquirente per la quale a un prodotto 1) costoso e 2) voluminoso corrisponda una maggiore qualità. A ciò si allaccia anche tutto il discorse dei materiali, più volte fatto, per cui materiali appariscenti (miniature, risorse sagomate, ecc) e grafica e disegni di alto livello (ad esempio illustrazioni tutte diverse sulle carte), contribuiscano a far vendere di più e abbiano anche impatto sul giudizio che si dà alla fine sul gioco, fagocitando in qualche modo le meccaniche, in diversa misura a seconda della predisposizione del fruitore.
La conseguenza di un prezzo alto è anche quella di creare nell'utente un'alta aspettativa, che infine incide sul bias nei confronti del gioco stesso e della sua qualità intrinseca – meccanica – che invece è indipendente da dimensioni, costo, materiali.
Una scatola grande è stato più volte confermato da editori che permette di vendere addirittura meglio un gioco, perché percepito come più “bello” rispetto a uno in scatola piccola, che viene automaticamente associato a qualcosa di poco “serio” e “profondo”.
Esempio:
Tutti gli ultimi giochi di Lacerda, incluse le ristampe rivedute e corrette dei suoi primi giochi, sono stati lanciati su Kickstarter, ad un prezzo decisamente elevato, giustificato spesso dai materiali imponenti, scatola sovradimensionata e cura nella grafica.
Contro-esempio
Wir Sind Das Volk! oppure The King is Dead, sono giochi estremamente profondi contenuti in scatole piccole, con materiali spartani e prezzo economico.
Conclusione
Mi sono più volte chiesto perché Lacerda e altri autori simili, non riuscissero a suscitare in me il senso di meraviglia che molti giocatori sembrano invece provare. Razionalmente conoscevo già i motivi di game-design che ne erano la causa, ma ho cominciato a pensare di metterli nero su bianco solo quando ho iniziato la serie di articoli relativi alle meccaniche di gioco, notando come il nome di Lacerda non avesse mai occasione di venir fuori tra gli esempi positivi di spicco.
Anche quando ho iniziato a scrivere questo articolo, non avevo in mente specificatamente lui e i suoi giochi, ma quando cercavo esempi concreti per ogni voce, i suoi titoli erano i primi a saltarmi in mente.
Ma al di là del singolo autore o esempio, l'articolo viene fuori semplicemente dal desiderio di approfondire l'analisi dei giochi e condividere queste riflessioni.
“Si Monumentum Requiris, Circumspice”