E' per me un po' difficile iniziare a scrivere un articolo sui giochi da tavolo, perché sono tutto fuorché un esperto: la passione ludica è sicuramente stata sempre parte di me, altrimenti non sarei qui oggi a scriverne, ma non l'ho mai coltivata davvero fino a quando non si sono verificate alcune condizioni particolarmente favorevoli e ciò è accaduto meno di un anno fa, quando alla scuola elementare frequentata dal mio figlio maggiore (Tommaso, ora nove anni) le insegnanti hanno deciso di introdurre nel piano formativo un'attività didattica parallela incentrata sul gioco da tavolo, condotta dall'arcinoto Liga.
Nel piano di questa attività formativa erano compresi un paio di incontri, fuori dall'orario scolastico, con il coinvolgimento dei genitori, in cui ho visto nei giochi da tavolo una grande opportunità per soddisfare i bisogni che stavano maturando dentro di me.
Venivo infatti da un periodo in cui mio figlio, che l'anno precedente si era fortemente appassionato al gioco degli scacchi (sempre stimolato da un'altra attività didattica scolastica) e aveva poi cominciato a seguire lezioni in un club locale e a giocare tornei ottenendo ottimi risultati per la sua età, improvvisamente si era distaccato completamente dal gioco. Non ho mai ben compreso il reale motivo di questo repentino calo d'interesse: forse la difficoltà di accettare la sconfitta, che negli scacchi è sicuramente più pesante da digerire in un contesto astratto ed “uno contro uno”, nel quale tutte le capacità intellettive dell'individuo vengono messe a dura prova e, quando si perde, è praticamente sempre per un proprio errore che determina uno squilibrio decisivo per le sorti della partita. Ero molto dispiaciuto che non avesse più voglia di giocare, non certo per i tornei, ma perché mi piaceva avere la possibilità di passare con lui un po' di tempo alla scacchiera.
Ero quindi intento a trovare altri modi per trascorre con i miei figli (oltre al maschio, ho una femmina, Cecilia, che ora sta per compiere sei anni) il poco tempo lasciato dal lavoro e dalle necessarie incombenze domestiche condivise con la moglie.
Va premesso che noi, in casa, non abbiamo la TV, o meglio, abbiamo un televisore, ma siccome si tratta di un modello precedente l'introduzione del digitale terrestre, è sprovvisto di decoder, quindi l'apparecchio viene usato come semplice monitor per vedere DVD: l'idea è quella di scegliere noi ciò che vogliamo far vedere ai nostri figli anziché sottometterci alla programmazione (e alla pubblicità!) imposta da altri. Si tratta di una scelta condivisa tra me e mia moglie: fin da quando iniziammo a convivere ci fu pieno accordo nel non avere televisori né nella stanza in cui si mangia né tanto meno nelle stanze da letto, anche quando i figli erano ben di là da venire. Ovviamente l'assenza della TV ha, per il nostro modo di vedere, molti vantaggi perché favorisce il dialogo nei pochi momenti in cui si può stare tutti insieme e lascia anche il tempo, la sera, prima della messa a letto, per svolgere attività in famiglia: che si tratti di leggere un libro, giocare con le costruzioni o con i giochi da tavolo, a nostro avviso qualsiasi cosa è meglio che piantarsi (e piantarli!) su un divano ad inebetirsi davanti ad uno schermo.
E torniamo all'incontro tra genitori e Liga, tenutosi alla fine dell'itinerario didattico sui giochi da tavolo, di cui ho accennato sopra: qui fece assolutamente breccia in me l'idea, espressa da Liga, che oltre ad essere divertente e a costituire un buon metodo per affinare capacità utili nella vita reale (tattica, strategia, problem solving, ecc.), il gioco da tavolo avrebbe potuto costituire uno dei pochi canali di comunicazione che sarebbero rimasti aperti con i nostri figli nel momento in cui, entrati nel periodo adolescenziale, il fisiologico distacco dalla famiglia avrebbe calato il sipario sul rapporto privilegiato genitore-bimbo a favore di quello con il gruppo di amici. Quel seme era stato gettato su terreno fertile, perché erano proprio le questioni su cui stavo meditando da un po': “Come coltivare meglio il rapporto con i miei figli, soprattutto in un momento in cui, passata la fase più faticosa, come genitore, dei primi anni della loro vita, la stanchezza delle giornate lavorative e delle altre incombenze domestiche tendeva a farmi prediligere il ritagliarmi momenti solo per me, nei pochi scampoli di tempo rimasti?”.
In questo i giochi da tavolo si sono rivelati qualcosa di veramente eccezionale, riuscendo a determinare una vera e propria quadratura del cerchio per tutte le mie esigenze! Ora, anche se rientro stanco dal lavoro, quando mio figlio mi chiede di giocare sono sempre ben disposto ad aprire l'armadio e a fargli scegliere il gioco da porre in tavola: il piacere reciproco di mettersi a giocare crea un'intesa, un'empatia, che prima non ero assolutamente riuscito a stabilire. Ovviamente qualche piccolo inconveniente, alle volte, capita, considerando che il mio Tommaso non accetta mai di buon grado le sconfitte (anche se ultimamente sta migliorando, in tal senso...).
Il percorso ludico che ho compiuto con i miei figli è un po' quello classico, proponendo dapprima giochi semplici e dalle regole veloci da spiegare, per cercare di coinvolgere anche la piccola: “Fantascatti”, “Dobble”, “Coloretto”, “Hooops!”, “Super Farmer”. Quest'ultimo è stato il primo gioco che ha subito appassionato Tommaso, ma, in breve tempo, messo di fronte a giochi un pelino più “complessi”, come ad esempio “Carcassonne” (già con i contadini), “Sheepland”, “Ticket to Ride”, “Finca” o “Takenoko”, ha immediatamente dimostrato la capacità di rimanere seduto al tavolo per parecchio tempo (anche due o tre ore di fila) mantenendo sempre piuttosto alta l'attenzione sui giochi di volta in volta proposti. Come per tutti i bambini, il momento più difficile da gestire è la spiegazione dei regolamenti, perché sicuramente risulta per loro la parte più noiosa, ma anche questo è un ostacolo che si supera se i bimbi sono determinati a giocare: il consiglio che posso dare è di leggersi attentamente il regolamento prima e, se si ha la possibilità, di provarlo con altri adulti, altrimenti una simulazione in solitario può essere utile per prendere confidenza con i componenti e le dinamiche di gioco, in modo da essere più celeri nello spiegare le regole quando si tratterà di proporre il titolo ai figli.
La voglia di giocare è poi cresciuta di pari passo sia in me sia in Tommaso e così anche la nostra ludoteca personale si è via via arricchita di titoli permettendoci di avere ampia scelta, sia come complessità di gioco sia per quanto riguarda la possibilità di decidere il titolo in base al tempo a disposizione per giocarlo.
Posso anche dirmi molto fortunato perché, al contrario di altri bambini, meno pazienti o forse meno interessati, con i quali ho avuto modo di proporre i giochi da tavolo, Tommaso non ha mai avuto particolari difficoltà ad affrontare titoli di complessità via via crescente come “Stone Age”, “Suburbia”, “Egizia” e persino “8 minuti per un impero”, “Navegador” o “La Havre, ancora in porto” che, pur nella semplicità dei regolamenti, non li considererei certo degli introduttivi per bambini!
Sta quindi dimostrando un'anima prevalentemente “german” e, anche se non disdegna giochi alla “Zombicide”, dove c'è da “menar le mani”, predilige i gestionali, come del resto il suo papà (e non nascondo la mia soddisfazione!).
La piccola viene coinvolta principalmente quando ci sono giochi più semplici: oltre ai già citati “Dobble” e “Fantascatti”, non disdegna “Hick hack nel pollaio” o “Sushi go” (noi lo abbiamo in versione Print & Play, ma segnalo che è di imminente uscita la ristampa), mentre il suo preferito rimane comunque “Felix, il gatto nel sacco” e non perché riesca a leggere già i numeri sulle carte o a gestirsi le aste, ma perché adora i gatti, due esemplari dei quali sono ospitati a casa nostra. Il più delle volte, però, preferisce creare costruzioni con i Lego, ma sono fiducioso che, una volta acquisita la capacità di leggere e far di conto, potrà unirsi a noi anche in giochi che al momento le risultano troppo lunghi e complicati.
Ora i fine settimana, terminate le incombenze scolastiche, sono in gran parte dedicati ai giochi da tavolo, perché, complice l'arrivo dell'autunno, ci sono meno occasioni per uscire ed incontrarsi con gli amichetti, quindi la frase che echeggia per casa è sempre la stessa: “Papà, facciamo un gioco di società?”.