Chiedete a un gruppo di appassionati quali sono i giochi da tavolo più belli e vi pentirete della domanda un secondo dopo averla posta.
Il nocciolo della questione – chiariamolo subito – risiede in una singola parola, soggettiva come se per gli altri non ci fosse un domani, quel bello che da secoli e millenni viene scandagliato dall’umanità nemmeno fosse un cassetto straboccante di calzini spaiati. Sul tema si tornerà in un articolo successivo, e comunque non è questa la sede per le elucubrazioni filosofico-esistenzialiste che l’argomento richiede; ma due parole fatemele spendere.
Anzi, le scrivo gratis: poi non dite che non vi penso.
Un gioco è bello quando piace. Sembra banale, ma è una delle poche sicurezze di questo mondo - sorta di Fabrizio Frizzi dell’intelletto umano.
Se per un ipotetico Gaspare il gioco è l’esaltazione del piacere della compagnia, quasi un pretesto per schiamazzi e risate gutturali, tanto che coi suo amici si diverte perfino giocando a Merda, è probabile che il suo concetto di capolavoro sia decisamente diverso da quello di suo cugino Odoacre, il quale con tre selezionatissimi amici, invece, adora sedersi al tavolo, in un silenzio denso come un frullato di banana e quindi tartassarsi le meningi con uno spremiagrumi elettrico.
Vedendo il primo sbavare per Celestia e il secondo per Brass, capeggiando ciascuno le loro schiere di sodali, le spade tratte a difendere le loro visioni ludiche e a sputare cubetti di cianuro su quelle altrui, Silvano il Babbano potrebbe sentirsi quantomeno confuso: è anche per questo che, volenti o nolenti, entrano in gioco le classifiche.
Idolatrate o disprezzate a seconda di come tira il vento, un po’ come succede alla musica di Branduardi, ad Amici di Maria De Filippi e al culo di Kim Kardashian, le classifiche – condivisibili o meno – sono quanto di meglio abbiamo a disposizione per tentare di intravedere un filo conduttore nelle volubili evoluzioni di pensiero del giocatore da tavolo.
Quale che sia la graduatoria, beninteso, vanno chiariti subito i criteri in base ai quali è stata stilata: se sappiamo, per fare un esempio, che la classifica del 2016 di TeOoh! premia un gioco che soddisfa quello che lui si aspetta da esso, possiamo finanche perdonarlo per aver preferito Happy Salmon a Nome in codice.
Di classifiche, in questa breve disamina prima di passare a quello che, in fondo, vi interessa davvero, ne elenco sostanzialmente tre.
La prima, frutto di menti diverse ma ugualmente appassionate ai giochi da tavolo, è più che altro un coacervo di nobilissime preferenze soggettive poi ammassate in qualche modo in un elenco più o meno condivisibile di titoli – tanto che vede il pur meritevole
Dixit al secondo posto. Sto parlando della top-cento (che poi son centodieci) del blog
Giochi sul nostro tavolo.
La classifica, aggiornata annualmente, è un ottimo elenco di titoli, foriero di parecchia ispirazione per chi già sa orientarsi e col vantaggio di non essere granché soggetta a quello che pomposamente viene definito come hype e che, sostanzialmente, indica una specie di estasi mistica con bava alla bocca per quello che è il nuovo, spesso iperpompato, a volte meritevole, ogni tanto sostanzialmente vuoto. I giochi presenti in questa classifica sono stati provati più volte e apprezzati sulla distanza medio-lunga dai collaboratori del blog, tanto che è francamente difficile trovarci un gioco che non reggerà alla prova del tempo.
Rimane comunque uno strumento più specialistico, che non necessariamente deve incontrare i desideri del fruitore medio; dateci comunque un occhio, magari abbinandolo alla guida introduttiva che trovate sullo stesso blog.
Le altre due classifiche di riferimento sono, viceversa, frutto del voto diretto di tutti quelli che i giochi, alla fin fine, li comprano e – si spera – ogni tanto li tolgono dalla mensola (se non altro per spostare il mobile e fare posto per il nuovo divano). Il concetto alla base di entrambe è lo stesso; quello che cambia è, ovviamente, il bacino di utenza.
Perché, se da un lato la Tana dei Goblin è da vent’anni il punto di riferimento della comunità italiana, alla base dell’altra abbiamo il mondo intero – sto parlando, ovviamente, di Boardgamegeek (nel seguito bigigì, bgg o anche sitoimpaginatomalissimomapazienza).
Le due classifiche, pur nell’estrema diversità delle posizioni a rispecchiare un diverso corpo votante (è innegabile constatare come in Italia gli appassionati di giochi americani e di guerra siano piuttosto timidi, pur constatando che esistono numerosi), condividono il concetto di fondo e – per quanto mi è dato sapere – anche i creteri degli algoritmi di calcolo; questi ultimi tendono saggiamente a zavorrare pesantemente le nuove entrate, onde evitare che un gioco sbilenco di un autore con molti amici su
facebook schizzi immediatamente ai piani alti della graduatoria. Non è comunque questa la sede per discutere di questi artifici informatici: basti sapere che, se un gioco si piazza bene (almeno nel breve termine), un motivo di solito c’è – capire quale è spesso un altro paio di maniche.
La classifica della Tana dei Goblin è stata ripristinata di recente e, a poco a poco, i voti che stanno rimpolpando non poco la graduatoria faranno tendere quest’ultima verso un qualcosa che tenga maggiormente conto dell’evolversi dei tempi: attualmente, infatti, la fanno da padrona i giochi che spopolavano qualche anno fa, anteriormente al primo rifacimento grafico del sito, in un’epoca in cui – almeno apparentemente – i lanciadadi erano più attivi di oggi.
A tirare le fila è infatti un gioco di carte come
Android: Netrunner e, nelle prime dieci posizioni, troviamo vecchie glorie all'americana come
StarCraft,
Descent,
Advanced Squad leader e addirittura un gioco stagionato come
Empires in Arms. Come detto, tuttavia, la gran mole di voti che recentemente è tornata ad arricchire il sito, con la possibilità di motivare le scelte, sta rapidamente dando una veste più attuale alla classifica: essendo questa tutta italiana (e quindi, in qualche modo, più affine ai nostri gusti), non trascuratela; anzi, contribuite ad arricchirla.
La terza classifica, la più importante proprio per la sua valenza simbolica oltreché globale, è proprio quella di bigigì, totem immarcescibile del gioco da tavolo, al tempo stesso faro in una notte buia e tempestosa e luce molesta alle sei del mattino quando si potrebbe dormire un po’ di più.
Provando a elaborare insieme le due classifiche, pur con le puntualizzazioni di cui sopra, è possibile provare a stilare una classifica congiunta, che ora potrete scorrere in questa veloce disanima; nonostante gli sconvolgimenti degli ultimi anni e i colpi inferti dalle presunte rivoluzioni del legacy prima e del non-rigiocabile poi, nonché dall’entusiasmo molesto generato da giochi iperprodotti e dalle corazzate varate da Kickstarter e simili, si può dire senza grandi timori di smentita che tra questi sia contenuto buona parte di quanto di meglio possa offrire questo mondo colorato, variopinto e decisamente spaesante (altro punto su cui questa rubrica tornerà volentieri). Al termine di questa sbrodolata di roba vedrò di tirare qualche conclusione aggiuntiva.
Beninteso: non lesinerò pareri personali qua e là – del resto è di bellezza soggettiva che stiamo parlando, no? – perché, prima di tutto, anche per me il bello ha una certa valenza, un po’ come il cloro nei suoi composti; e poi perché devo abilmente nascondere il fatto che parecchi di questi titoli non li ho mai provati.
La classifica dei giochi da tavolo più belli
50. Five tribes
Bruno Cathala (2014)
Gioco di peso non troppo elevato, a volte considerato quasi un introduttivo, forse più complicato che complesso, Five tribes è sostanzialmente una rilettura del mancala (gioco tradizionale ripreso anche da Trajan, nonché dal glorioso Bantumi dei vecchi Nokia) nel quale i giocatori, dopo aver eseguito un’asta per l’ordine di turno, posizionano i loro meeple (per chi non lo sapesse, sono gli omini tipo Carcassonne) su tessere contigue e ne risolvono gli effetti. I punti piovono un po’ dappertutto e il gioco richiede una buona lettura iniziale; i materiali sono decisamente buoni. Di contro, è un astratto di prima categoria.
49. Here I stand
Ed Beach (2006)
Wargame con carte e mappa dalla durata importante (sulle sei ore), Here I stand è la classica produzione GMT, casa i cui titoli puntano sempre a preferire l'aderenza storica e l'ambientazione ad altri aspetti, materiali compresi (non sempre soddisfacenti, anche in virtù del prezzo che spesso questi giochi arrivano ad avere). Il gioco si snoda attorno alla riforma protestante del sedicesimo secolo, con tutti i conflitti politico-religiosi che ne sono derivati e, ovviamente, dà il meglio di sé se tutte le potenze in gioco (sei: Dinastia degli Amburgo, Papato, protestanti, ottomani, inglesi, Valois) vengono gestite da un giocatore diverso.
48. Specie dominanti
Chad Jensen (2010)
Parlando di maggioranze, uno dei primi titoli che viene in mente è questo molosso di evoluzione animale. Altro tipico titolo GMT per mole e materiali, in Specie dominanti i giocatori devono portare una delle sei classi del regno animale al predominio sulle altre. Lungo e impegnativo, asciutto eppure torrenziale, con una componente di piazzamento lavoratori, un'originale dimensione logistica e una forte interazione diretta che si traduce in una predominanza della tattica sulla strategia, Specie dominanti è un gioco dedicato ai solutori più che abili.
47. Viticulture (essential edition)
Morten Monrad Pedersen, Jamey Stegmaier, Alan Stone (2015)
Piazzamento lavoratori con gestione carte piuttosto ambientato che vede i giocatori - fino a sei - nei panni di produttori di vino toscani (o quantomeno di quella che per gli Stati Uniti è la Toscana), Viticulture è un titolo con un suo seguito di appassionati che reimplementa l’omonimo titolo del 2013 e nel quale bisogna decidere ogni anno come impiegare la propria forza lavoro nelle varie attività stagionali che le viti richiedono. Se piace il tema, può essere una valida alternativa al ben più complicato Vinhos (a condizione di fingere di non accorgersi di qualche piccolo orrore tematico). Consigliata l'espansione Toscana.
46. Roll for the Galaxy
Wei-Hwa Huang, Thomas Lehmann (2014)
Riproposizione con dadi – appena centodieci – del celebre Race for the galaxy (Lehmann, 2007) che, ancora oggi, è tra i più apprezzati titoli con gestione carte, seppure innaffiato di troppe espansioni che, forse, hanno denaturato e appesantito il gioco. Questo cugino giovane è un piazzamento lavoratori su tessere modulari che, a fronte di una perdita di profondità rispetto al progenitore, guadagna invece in accessibilità. Non necessariamente soddisfa chi arriva dal più corposo titolo di cui sopra, ma è un gioco che, in un tempo contenuto, sa regalare divertimento e soddisfazione.
45. Patchwork
Uwe Rosenberg (2014)
Di tutt’altra stazza questo piccolo capolavoro per due giocatori. Sorta di Tetris del terzo millennio, in questo gioco si deve cercare di cucire quanti più brandelli di stoffa nella propria coperta, cercando di gestire la doppia valuta del titolo (i bottoni e il tempo). Sorprendentemente profondo e aderente al tema, di durata più che contenuta, è fortemente consigliato per le coppie che adorano giocare insieme e la cui componente maschile accetta di buon grado le sconfitte.
44. Eldritch horror
Corey Konieczka, Nikki Valens (2013)
Konieczka, sorta di re Mida del gioco da tavolo americano, questa volta lascia il segno - un po' come gli antichi - con uno dei millemila giochi a tema Lovecraftiano che tanto piacciono ai giocatori di stampo americano e che hanno largo seguito anche in Italia. Ambientato e parecchio dadoso, si tratta di un cooperativo che regge – almeno sulla carta – fino a otto giocatori e si basa su meccaniche di scelta azioni e di spostamento su mappa. Lo si può considerare una sorta di liofilizzazione (per così dire) del celebre Arkham horror, dai più giudicata perfino migliore del progenitore.
43. 7 Wonders: Duel
Antoine Bauza, Bruno Cathala (2015)
Sorta di spin-off per due giocatori del celebre 7 Wonders, questo gioco di carte ha addirittura superato il fratello maggiore nelle preferenze dei giocatori. La meccanica del draft (così è chiamata la fase in cui si sceglie una delle carte in mano e si passano le altre al vicino) è stata sostituita da una specie di Mahjong che rende disponibili le carte in successione; è inoltre possibile ottenere una vittoria diretta mediante la forza militare o la scienza. Al netto di qualche rallentamento a ogni inizio era per montare tutto il catafalco delle carte, si tratta di un ottimo titolo, che forse pecca solo di longevità - ma è da poco uscita un'espansione tanto invasiva quanto apprezzata, Pantheon, che introduce anche gli dei.
42. Dead of winter: a crossroads game
Jonathan Gilmour, Isaac Vega (2014)
Altro tema molto sfruttato dagli autori di giochi da tavolo è quello degli zombie; tra i molti titoli usciti si distingue questo cooperativo con obiettivi personali e possibili traditori in cui i giocatori impersonano dei sopravvissuti nel classico scenario post-apocalittico, attanagliati tra non morti e minacce psicologiche (il gioco può terminare anche per il crollo del morale). Quanto a meccaniche, sono quelle tipiche dell’americano dadoso tutto ambientazione, qui invero implementate parecchio bene. L'immersione nel gioco è tale da perdonargli anche qualche sbavatura - chi ha detto cane col fucile?
41. Mechs vs. Minions
Chris Cantrell, Rick Ernst, Stone Librande, Prashant Saraswat, Nathan Tiras (2016)
Cooperativo di ambientazione videoludica (League of Legends), è un gioco a campagna di robottoni, forse poco longevo e non eccessivamente pesante, con abilità uniche e componenti da urlo che sta scalando rapidamente la classifica di bigigì. Se è solo entusiasmo o c’è dell’altro lo dirà solo il tempo.
40. Food chain magnate
Jeroen Doumen, Joris Wiersinga (2016)
Debutto nelle alte classifiche mondiali per un titolo della Splotter Spellen, sorta di miraggio ludico indipendente per il gestionale alla tedesca. Senza cedere troppo alle mode del momento (anzi), il duo olandese sforna il consueto gioco di logistica su mappa e gestione mazzo dalla profondità estrema e con le consuete pecche di ergonomia, questa volta compensate da materiali piuttosto buoni e da un’ambientazione (quella dei fast food degli anni Cinquanta) che ci ha messo del suo. In ogni turno i giocatori devono dapprima decidere l'organigramma aziendale e poi gestire pubblicità, prezzi, rifornimenti di bevande e quant'altro. Food chain magnate, impegnativo ed estremamente punitivo, ha vinto il Goblin magnifico 2016, probabilmente meritandolo.
39. Imperial/Imperial 2030
Mac Gerdts (2006, 2009)
Imperial è senza particolari dubbi il vertice della produzione di Gerdts, autore i cui giochi presentano un'eccezionale rapporto tra profondità e complicazione, essendo generalmente caratterizzati da regolamenti piuttosto semplici ed eleganti. In Imperial (e nella sua reimplementazione futuristica, che presenta piccoli accorgimenti nelle meccaniche non sufficienti tuttavia a farlo considerare un gioco a sé) i giocatori rappresentano dei finanziatori che agiscono nell'ombra, influenzando i governi delle potenze (europee o mondiali a seconda del caso) per aumentare il loro profitto. Quale dei due titoli scegliere è soggettivo: molti - non tutti - tendono a preferire Imperial 2030, sacrificando un'ambientazione decisamente più accattivante (gli albori del Novecento) in favore di un gioco per certi versi migliore. In ogni caso, si cade in piedi, perché l'implementazione della rondella in questi due giochi è pressoché perfetta.
38. Orléans
Reiner Stockhausen (2014)
Ennesimo gestionale di stampo tedesco che si distingue dagli altri per la sua implementazione di una meccanica innovativa nella sua classicità, quella del bag building (che cioè permette di decidere quali lavoratori mettere nel sacchetto da cui si deve pescare durante la partita), ma che per il resto non si distacca molto dalla media del genere. Va detto che il titolo, molto vario quanto a stratetegie da adottare, ha parecchi sostenitori entusiasti.
37. Le case della follia (seconda edizione)
Nikki Valens (2016)
Altro peso massimo di ambientazione lovecraftiana che sostituisce le sbavature della prima edizione (prime fra tutte una preparazione interminabile e la necessità di un master) con un’applicazione, nel solco dei giochi che si affidano a un’intelligenza informatica per guidare ed eventualmente contrastare i giocatori. Al netto di considerazioni di forma, sicuramente una valida soluzione, qui implementata bene – per alcuni non benissimo – nei soliti scenari di miniature, dadi e sale da esplorare.
36. Il signore degli anelli: il gioco di carte
Nate French (2011)
I cosiddetti living card game (lcg) sono giochi di carte che si collocano in una posizione intermedia tra i giochi di carte - perdonate il termine - autosufficienti (un esempio può essere Seasons, quasi perfetto già con la sola scatola base) e i collezionabili tipo Magic: the Gathering. A differenza di questi ultimi, le numerose espansioni degli lcg contengono materiale noto, permettendo quindi una sorta di controllo - almeno sulla carta - per le pur elevate spese che essi richiedono (beninteso, per Il signore degli Anelli, alla voce Espansioni, bigigì fornisce centonove risultati). Detto questo, siamo tra i vertici della categoria, complice un'ambientazione da colpo sicuro. La particolarità del titolo è che, diversamente da quello che si potrebbe supporre (soprattutto perché il gioco dà il suo meglio in due giocatori), si tratta di un cooperativo a scenari.
35. Caverna: il popolo delle montagne
Uwe Rosenberg (2013)
Molto si è detto di questo titolo, del suo essere il cugino più tattico e accessibile, per quanto meno longevo, di Agricola (sul quale si tornerà più avanti) e del fatto che debba o meno essere preferito a quest’ultimo. Di per sé, è un ottimo piazzamento lavoratori molto vario, non molto ansiogeno e che affida la variabilità a una serie (numerosa-non-troppo) di tessere sempre presenti in ogni partita (laddove invece Agricola si affida alle carte). Come per ciò che è bello, anche qui si entra nel campo del soggettivo.
34. T.I.M.E. Stories
Peggy Chassenet, Manuel Rozoy (2015)
Forse ancora più del sistema legacy, l’elemento nuovo del gioco da tavolo è la tendenza narrativo-consumistica che si respira fortissima in questo titolo usa- e-getta (che, per essere precisi, fornisce più che altro le strutture necessarie a vivere le storie che le espansioni forniranno in quantità prevedibilmente massiccia - è anzi fresco di pubblicazione Il caso Mercy). L’idea è un po’ quella di rivivere su un tavolo il meccanismo delle escape room; il risultato non ha convinto tutti, complice anche qualche forzatura (prima fra tutte, il ruolo del dado), ma il gioco è di quelli che probabilmente segneranno una svolta.
33. Nome in codice
Vlaada Chvátil (2015)
Chvátil è nel novero di quei pochissimi autori per i quali si può scomodare lo spesso abusato termine di genio: disarmante la naturalezza con la quale passa dai cinghiali di civilizzazione, agli ameritrash, fino ai party game. Nome in codice appartiene a quest’ultima categoria e, dove sembrava che non ci fosse più nulla da inventare (le associazioni logiche tra parole), Chvátil se ne esce con un piccolo gioiello, già meritato Spiel des Jahres e asso nella manica per far colpo su chiunque si dichiari avverso ai giochi da tavolo.
32. 7 Wonders
Antoine Bauza (2010)
Nel mondo dei giochi da tavolo, in fondo, bastano pochi anni perché un gioco diventi un classico: è il caso di questo piccolo gioiello di fascia medio-leggera che, con la sua meccanica di draft, gestione risorse e scelte simultanee, regge in un tempo davvero ridotto fino a sette giocatori; il tutto considerando buona parte degli aspetti che ci si aspetta di trovare in un gioco di civilizzazione (o quantomeno in un suo surrogato). L’ambientazione si sente poco, ma non è questo lo scopo di questo ottimo introduttivo.
31. Steam
Martin Wallace (2009)
Tra i cardini della vasta produzione di Wallace, pezzo grosso del gioco d'autore alla tedesca, Steam è un cinghialino ferroviario di un'ora e mezza circa dal regolamento piuttosto corposo e caratterizzato da meccaniche di piazzamento tessere, costruzione reti e asta (per l'ordine di turno). I giocatori - da tre a cinque - devono sviluppare una rete ferroviaria e utilizzarla per massimizzare i profitti, con ben pochi margini di errore. Si tratta di una reimplementazione del precedente e più corposo Age of steam, tra i capolavori del genere ferroviario e del quale si possono utilizzare le mappe espansione.
30. Robinson Crusoe: Adventures on the Cursed Island
Ignacy Trzewiczek (2012)
Posizione relativamente alta per uno dei più celebrati – e difficili – cooperativi disponibili sul mercato. I giocatori impersonano altrettanti naufraghi intenti in una strenua lotta per la sopravvivenza, tra clima avverso, animali feroci e fame atroce. Poiuttosto complicato e soggetto alla fortuna, non incontra i gusti di tutti; ma – una volta metabolizzato – l’esperienza di gioco è tutt’altro che banale.
29. Terraforming Mars
Jacob Fryxelius (2016)
Pezzo da novanta dell’ultima fiera di Essen, Terraforming Mars è stato uno dei giochi più attesi e pompati dall’attesa. Pur nella scia dei classici gestionali di risorse e gestione carte a interazione pressoché inesistente, si sta rivelando un titolo solido e di notevole profondità almeno a giudicare dal piazzamento in classifica (al solito, lo si attende al varco della prova tempo). I materiali sono spartani, mentre l’ambientazione (la civilizzazione di un pianeta alieno) è resa relativamente bene; la durata si assesta sotto alle due ore. A breve è attesa la prima edizione italiana.
28. Star Wars: Imperial assault
Justin Kemppainen, Corey Konieczka, Jonathan Ying (2014)
Uno dei cavalli di razza targato Fantasy Flight a tema Guerre stellari, Imperial assault non è altri che la riedizione riambientata (estremamente bene, sebbene ricorrendo spesso a personaggi inventati) della seconda edizione di Descent, celebre titolo di dungeon crawling (ossia l'esplorazione di luoghi chiusi, sotterranei e non , tanto cara ai giocatori di ruolo). Il gioco è affrontabile in diverse modalità - per esempio campagna o schermaglia - ed è piuttosto valido; certo, il quid in più - nemmeno a dirlo - è dato da quello che nel titolo compare prima dei due punti. Come parecchi giochi della categoria, richiede ben presto una o più espansioni.
27. La guerra dell’Anello (seconda edizione)
Roberto Di Meglio, Marco Maggi, Francesco Nepitello (2012)
Altrra ambientazione fortissima è quella tolkeniana, sfruttata nel 2004 da un gioco tutto italiano che ha visto un’ottima ristampa qualche anno fa. Colosso che si aggira sulle tre ore, si tratta di un card driven (da non confondersi con gioco di carte: si intendono i giochi in cui le carte permettono di eseguire delle azioni, in genere su tabellone, ma non sono il cuore unico del gioco) a tema bellico con mappa, miniature e dadi. Regge anche quattro giocatori, ma è innegabile che la sua conformazione ideale è a due giocatori, uno dei quali alle prese con gli eroi buoni, l’altro con le forze del male (del resto, nei libri del nostro la distinzione tra queste è spesso e volentieri parecchio delineata).
26. Keyflower
Sebastian Bleasdale, Richard Breese (2012)
Atipico gioco di aste, logistica, costruzione reti e gestione della confusione, Keyflower – al netto di una controllabilità non eccelsa, ma nemmeno così bassa come a volte si legge in giro – si è subito distinto per la forte vocazione tattica e per il fatto di reggere bene con qualsiasi numero di giocatori –finanche in sei giocatori (caratteristica questa sempre ben accetta nei giochi di un certo peso). Né troppo facile, né eccessivamente difficile, sicuramente bellissimo al colpo d’occhio, ha forse troppi difetti per essere considerato tra i capolavori, ma lui non lo sa e piace molto lo stesso.
Nel 2016 ne è uscita una sorta di bignami più limato e controllabile, Key to the city - London; ma in molti preferiscono ancora questa cacofonia di colori.
25. Blood rage
Eric M. Lang (2015)
Parlando di giochi oggettivamente iperprodotti, uno dei migliori esempi che spesso vengono in mente è quello di questo muscolosissimo titolo di draft di carte e maggioranze che su bigigì continua a spopolare. Il gioco, piuttosto valido sebbene un po’ arido a livello tematico (l’ambientazione è quella delle battaglie tra clan vichinghi) e non troppo originale, è emblematico di quello che è attualmente il tipico prodotto kickstarter: avrebbe funzionato egregiamente anche con delle pedine di legno, ma le splendide miniature l’hanno fatto lievitare due volte: a livello di prezzo prima, a livello di entusiasmo poi. O forse prima.
24. Scythe
Jamey Stegmaier (2016)
Al momento, il campione dell’hype è questo cinghialone che sfrutta abilmente le bellissime atmosfere robotico-rurali di Jakub Różalski. Si tratta di un gestionale di stampo classico che, sinteticamente, fonde la mappa e le fazioni asimmetriche di Terra mystica con alcune peculiarità più care al giocatore americano, ottenendo un ibrido di buona profondità caratterizzato, tra le altre cose, da una durata del tutto dipendente dalle scelte dei giocatori; da più parti si legge della marginalità dell’aspetto bellico come di un difetto, mentre i materiali e il colpo d’occhio sono da grande produzione. Quanto alla tenuta sul lungo periodo, l’ultima parola spetta a un'altra falce - quella del tempo.
23. Star Wars: Rebellion
Corey Konieczka (2016)
Si tratta, verosimilmente, del capolavoro del filone Fantasy Flight-Star Wars, nonché di quello in cui l’ambientazione è più immersiva. Due giocatori (con variante – sconsigliata – per tre o quattro) si sfidano nel rievocare la trilogia classica di Guerre Stellari su scala galattica, con l’Impero e la sua schiacciante forza militare alla ricerca della base segreta dei ribelli, mentre questi ultimi devono vivere di espedienti e di attacchi mirati per riuscire a ottenere la reputazione necessaria per poter sollevare la galassia contro l’oppressore. Si tratta di un gioco certo impegnativo – soprattutto in termini di durata –, ma molto bello, firmato dal buon Konieczka: la produzione è mastodontica, con il valore aggiunto non da poco che, a differenza degli altri titoli del filone (in primis Armada e Assalto imperiale), Rebellion non necessita di espansioni nemmeno a medio-lungo termine.
22. Go
Autore ignoto (Tanto tempo fa, in una galas...ah, no)
Tra i più famosi e antichi giochi astratti, il Go è una sfida per due giocatori che si contendono il controllo delle aree di una griglia quadrata. Come del resto gli schacchi, il Go presenta un rapporto complessità/complicazione tendente all'infiinito, perché le regole sono semplicissime, ma per dominarlo può non bastare una vita.
21. Tzolk’in: the mayan calendar
Simone Luciani, Daniele Tascini (2012)
Nell'anno di grazia 2012 il dinamico duo Luciani-Tascini propone un gioco più che classico di piazzamento lavoratori e gestione risorse, al successo del quale ha di certo giovato lo splendido sistema di ruote dentate interconnesse che muove gli omini e segna il passare del tempo. Penalizzato parzialmente da una longevità forse limitata, un’ambientazione un po’ posticcia e qualche problema di strategia dominante sostanzialmente arginato da una regola aggiuntiva, probabilmente non terrà il passo del successivo Sulle tracce di Marco Polo; ma è certo un gioco più che interessante, con una peculiare gestione del turno che consente solo di piazzare lavoratori – pagando in mais, la valuta del gioco – oppure di ritirarli dalle ruote, eseguendo l'azione: la gestione di questa meccanica è sicuramente la parte più profonda di questo bel titolo.
20. Concordia
Mac Gerdts (2013)
Restando su territori tedeschi, è il turno di uno dei migliori titoli dell’autore celebre per la rondella, che per inciso qui non c’è. Ambientato all’epoca dell’Impero Romano, Concordia è un gioco di sviluppo economico e logistica su mappa che ha nelle carte da selezionare il suo motore principale, nonché il moltiplicatore dei punti vittoria assicurati dagli dei (caratteristica cara all’autore che però non soddisfa tutti, il conteggio dei punti vittoria stessi avviene infatti solo al termine della partita). Posto che con Gerdts si va sul sicuro, assicuratevi di avere una libreria piuttosto profonda perché le scatole dei suoi giochi possono contenere Brivido.
19. Pandemic Legacy: season 1
Rob Daviau, Matt Leacock (2015)
A quanto pare, un gioco come Twilight struggle poteva essere scalzato dalla vetta della classifica bigigì solo in due modi: o migliorando ulteriormente un capolavoro (è il caso di Through the ages) oppure provando a cambiare il mondo dei giochi da tavolo prendendo un cooperativo dei più amati e ammantandolo di una roboante novità: il legacy. Il sistema, che prevede di tenere traccia in maniera permanente delle decisioni dei giocatori modificando e distruggendo il materiale utilizzato (niente remore: sono giochi nati per questo), non è una novità assoluta; ma è con un gioco di suo già asfissiante e frenetico, sufficientemente semplice, che in questa veste ha trovato la sua consacrazione. La campagna contro l’epidemia copre un arco di dodici mesi, per un numero di partite che va da dodici a ventiquattro, terminate le quali il titolo non è rigiocabile (se la cosa vi spaventa, chiedetevi quante volte riuscite a giocare i titoli più convenzionali). Il gioco di partenza, beninteso, non è un capolavoro e non è detto che la cosa venga a noia prima di dicembre; ma da più parti viene elogiata come mai prima d’ora l’esperienza di gioco – quella sì, da prima della classe.
18. Paths of glory
Ted Raicer (1999)
Altro GMT, per cui valgono le considerazioni fatte per Here I stand; questa volta cambia l'ambientazione (Prima guerra mondiale), l'impianto di gioco (è per due persone - una che muove gli imperi centrali, l'altra gli alleati) e, soprattutto, la durata, che si allunga ancora, fino a toccare le otto ore. Si tratta di un card driven con movimento di segnalini bidimensionali su mappa, come ogni wargame che si rispetti - per inciso: su bigigì, nella relativa categoria, Paths of glory è secondo solo a Twilight struggle.
17. El Grande
Wolfgang Kramer, Richard Ulrich (1995)
Altro grande classico, probabilmente El Grande è tuttora tra i migliori giochi di maggioranze (per molti il migliore, superiore perfino a Specie dominanti). A fronte di una grafica un po’ spartana e di una certa astrattezza, ripaga con trovate di notevole eleganza (per esempio nella gestione dell'ordine di turno) e un’interazione diretta davvero difficile da trovare in un gioco alla tedesca. Non scala bene; ma in cinque – volendo anche in quattro – è ancora tra i migliori giochi in circolazione.
16. Eclipse
Touko Tahkokallio (2011)
Caposaldo dei cosiddetti 4X (Explore, expand, exploit, exterminate – e quindi giochi di esplorazione, espansione, sftuttamento risorse e combattimento), Eclipse è un gioco appagante, con echi tedeschi e dai materiali non fantascientifici che però fanno il loro compito e dalla durata comunque importante. Per qualche aspetto gestionale può ricordare i giochi di civilizzazione vera e propria, ma il suo centro nevralgico sta nel controllo del territorio (reso con una mappa modulare da esplorare).
15. Sulle tracce di Marco Polo
Simone Luciani, Daniele Tascini (2015)
Uno dei pochissimi titoli degli ultimi anni che già ora non si fa fatica a immaginare un giorno nel novero dei classici del gioco da tavolo, si tratta di un gestionale di dadi confezionato splendidamente dalla Hans im Glück; si distingue per l’estrema differenziazione dei poteri variabili dei giocatori e per una coperta estremamente corta, che richiede necessariamente un’attenta lettura della mappa di gioco, sempre diversa. I giocatori devono intraprendere dispendiosi viaggi per aprire avamposti commerciali in Asia e, parallelamente (ma anche solo alternativamente, a seconda dei personaggi), chiudere qualche contratto. In attesa dell'espansione attesa per il 2017, si può integrare il gioco con la mini-espansione che include quattro nuovi personaggi e nuovi componenti.
14. The resistance: Avalon
Don Eskridge (2012)
Nel 2012 Eskridge riprende in mano The resistance, uno dei party game (o riempitivi, o piatto forte della serata, a seconda di come lo si interpreta) più belli di sempre, ne limita la parte più fortunosa e, al suo posto, implementa un titolo di ruoli nascosti in un gioco di ruoli nascosti, dando veste alla versione pressoché definitiva di un gioco che, con nomi e formati diversi, spopola ormai da tempo. The resistance: Avalon scala peraltro molto bene se si ha l'accortezza di adattare i personaggi (Merlino, Morgana e compagnia) al numero di giocatori; come tutti i giochi di bluff e ruoli nascosti, tuttavia, è fortemente dipendente dal gruppo di gioco: è sorprendente crederlo, ma potrebbe non sfondare. Beninteso: se sfonda, siete a cavallo.
13. Die Burgen von Burgundy
Stefan Feld (2011)
Forse non il capolavoro di Feld, sicuramente il suo gioco più amato. Tattico molto più che strategico, profondo quanto basta, appetibile nonostante una grafica appena abbozzata, il gioco (spesso indicato col titolo inglese The castles of Burgundy) è un piazzamento tessere con una gestione molto intelligente dei dadi che si risolve in una tipica insalata di punti (tutt’altro che fastidiosa, vista la generale astrattezza), essendo molteplici – e ben bilanciate – le vie per arrivare ai punti. Titolo che gira eccezionalmente bene in due in tempi del tutto contenuti, Die Burgen von Burgundy è spesso presente nella collezione delle coppie giocanti (e viene giocato parecchio, per inciso).
12. Twilight imperium (terza edizione)
Christian T. Petersen (2004)
Altro celebre 4X, di peso superiore a Eclipse e con un'attitudine meno ammiccante al lato germanico del gioco da tavolo, Twilight imperium vede i giocatori a capo di potenti civiltà galattiche intente a contendersi il trono imperiale a suon di guerra, diplomazia e progresso tecnologico. Va da sé che richiede almeno tre ore e dà il suo meglio con più giocatori (finanche sei).
11. Alta tensione
Friedemann Friese (2004)
Spesso bollato come freddo e calcoloso, a parere di chi scrive – perdonerete questa mia uscita, ma di questo si parla – Alta tensione (Funkenschlag in tedesco, Power grid in inglese) è il più bel gioco da tavolo. Nei panni dei proprietari di aziende elettriche, i giocatori – fino a sei – devono acquisire delle centrali elettriche (mediante asta), acquistare il combustibile necessario – geniale la meccanica del mercato – e collegare alla rete le città della mappa. Il gioco termina quando qualcuno collega un certo numero di città, vince chi – in quel round – può rifornirne di più. Gioco da non proporre a chi è alle prime armi, mette alle prese con una serie continua di decisioni cruciali, perché la differenza la può fare – e spesso la fa – un singolo electro (la valuta del gioco). Difficile che una partita ad Alta tensione stia sotto le due ore, ma le vale tutte.
10. Caylus
William Attia (2005)
Incluso tra le pochissime, vere pietre miliari del gioco da tavolo, Caylus è il termine di paragone per tutti i giochi di piazzamento lavoratori usciti dopo di lui. Forse freddo e un po’ calcoloso, è tuttavia un gioco di eccezionale profondità, a fronte di una lunghezza non proprio da peso leggero. Slegato da logiche di ampliamento del numero di lavoratori, Caylus ha il suo centro nevralgico nella scelta delle poche azioni disponibili, stritolate tra la necessità di eseguirle nell’ordine richiesto e un’interazione (anche diretta) estremamente marcata, finanche cattiva. Non deve piacere a tutti per forza; ma l'evoluzione del gioco da tavolo è passata da qua.
9. Brass
Martin Wallace (2004)
Peso massimo dalla componentistica così così (marchio di fabbrica di Wallace), Brass è un gioco gestionale-economico con costruzione reti e gestione carte di rara freddezza e decisa tendenza al calcoloso. Va da sé che profondità e soddisfazione vanno di pari passo con impegno e dedizione. La durata è di quelle importanti, il regolamento è un tripudio di complicate eccezioni; ma per gli amanti dei giochi alla tedesca è da annoverarsi tra i capolavori.
8. Le Havre
Uwe Rosenberg (2008)
Altro peso massimo del gioco alla tedesca, Le Havre è un gestionale risorse ipertrofico (le merci sono sedici – otto base e otto lavorate – cui si aggiungono i franchi) e al tempo stesso un piazzamento lavoratori liofilizzato (il lavoratore è uno solo, anche se mangia per quindici) che si snoda in un’area portuale con una quantità smodata di edifici di produzione e trasformazione. Insomma un capolavoro, ma dalla durata mostruosa: piuttosto lungo in due, eterno in tre, geologico in quattro, masochistico in cinque (esiste però una versione semplificata, piuttosto valida); va capito a livello soggettivo quale dei due aspetti prevalga.
7. Agricola
Uwe Rosenberg (2007)
Altro autore affezionato dei piani alti (vedasi appena sopra), Rosenberg pubblica quello che per molti è il suo capolavoro nel 2007. Agricola, che vanta un passato da numero uno della classe su bigigì, è un piazzamento lavoratori asfissiante, nel quale i giocatori devono prima di tutto pensare a sfamare i contadini della propria fattoria e solo successivamente pensare a farla prosperare. A rendere questa base già solida un capolavoro è l’amplissima dotazione di carte che da un lato ne amplia tantissimo le possibilità e, dall’altro, ne assicura una longevità inaudita. Il sistema di punteggio, decisamente peculiare, premia la varietà e non la specializzazione. La nuova edizione presenta materiali da urlo, ma è relativamente carente per quanto concerne le carte, che sono pochine, per quanto ribilanciate, e necessitano ben presto di un’espansione – prevista a breve – se il gioco viene giocato più che saltuariamente.
6. Terra mystica
Jens Drögemüller, Helge Ostertag (2012)
Ora come ora, Terra mystica è il capofila dei giochi alla tedesca su boardgamegeek e i motivi sono lampanti. Le tessere bonus, uguali per tutti e visibili fin dall'inizio a guidare i turni dei giocatori (mai abbandonati a loro stessi) e una straordinaria asimmetria delle fazioni in gioco, uniti a una durata sorprendentemente contenuta, fanno di questo titolo un gioiello di progettazione. Notevole l’interazione, generata dalle meccaniche stesse; eleganti e originali diverse trovate, a cominciare da quella dei punti potere. I componenti eccelsi fanno il resto; e pazienza se uno non trova le battaglie che l’ambientazione fantasy sembra suggerire: si è di fronte allo stato dell’arte del gestionale.
Pressoché intangibili i presunti problemi di bilanciamento delle quattordici (!) fazioni del gioco base, a meno che non vogliate dedicarvi a Terra mystica tutti i giorni della vostra vita. L’espansione è bella, ma non essenziale.
5. Mage Knight Board Game
Vlaada Chvátil (2011)
Nel 2011 l’autore ceco si è lanciato in un colossale gestionale di carte a tema fantasy, molto americano nell’aspetto eppure estremamente tedesco nell’essenza. Profondo e complesso gioco di esplorazione, Mage Knight si assesta tra le due e le tre ore di gioco e rende eccezionalmente bene anche in solitario. Soggetto alla paralisi d’analisi, si tratta di un gioco di grande profondità che riesce a riprodurre in maniera sensibile diversi aspetti proprio dei giochi di ruolo, prima tra tutti la crescita dei personaggi dovuta all’esperienza.
4. Android: Netrunner
Richard Garfield, Lukas Litzsinger (2012)
L’attuale numero uno della Tana dei Goblin si difende molto bene anche su bigigì e, complice un’ambientazione cyberpunk che bene o male tira sempre, è tuttora tra i più apprezzati living card game (ossia quei giochi di carte espandibili con cognizione, sapendo quello che si compra – a differenza dei collezionabili tipo Magic, del quale peraltro condivide l’autore). Asimmetrico per due giocatori dall’ambientazione peculiare - è una sorta di sfida tra corporazioni, droni e attacchi informatici - e con una forte casa (la Fantasy Flight) alle spalle, è un gioco che ha lasciato il segno anche per la sua estrema longevità. Attenzione al portafoglio, come per tutti i giochi di carte di questo tipo.
3. Puerto Rico
Andreas Seyfarth (2002)
Altro padre nobile del gioco alla tedesca, Puerto Rico vanta un glorioso passato da numero-uno-di-bigigì e un presente da numero-uno-di-sempre nel cuore di molti giocatori. Poco da dire su questo autentico capolavoro: la sua meccanica di scelta dei personaggi, con le azioni che vengono svolte da tutti i giocatori, e la sua intelligente interazione tra merci, denari ed edifici fanno di Puerto Rico una pietra miliare del settore; godibilissimo pure in due grazie alla variante Fernori, si tratta di un titolo dalla durata perfetta, bilanciato col contagocce – personalmente non ho mai introdotto le espansioni – e pure relativamente ambientato. Che volete di più, ingordi?
2. Through the ages: a new story of civilization
Vlaada Chvátil (2015)
Per comprendere la grandezza di questo titolo basta notare come appaia due volte nelle primissime posizioni di bigigì. Il capolavoro di Chvátil è un gioco di civilizzazione di eccezionale profondità e completezza. Con la vistosa eccezione della mappa, in Through the ages si trovano tutti gli aspetti che ci si aspetta in un titolo del genere: i leader storici, le meraviglie, le tecnologie, la religione e le forme di governo, oltre a una serie di edifici urbani clamorosamente caratterizzati con un paio di accorgimenti; e poi, ovviamente, le unità militari. Il tutto gestendo solo due risorse: la popolazione e le risorse. Rasentano il genio, inoltre, le semplici ed efficaci soluzioni che tengono conto di aspetti quali la felicità della popolazione e la corruzione. Beninteso: stiamo parlando di un bisonte da un’ora abbondante a giocatore che in quattro soffre di tempi di attesa mitologici e che presenta un regolamento non particolarmente complicato, ma sicuramente corposo; eppure è un titolo splendido, e la nuova edizione riesce nell’impresa di migliorare la precedente, ribilanciandone le carte, affinandone alcune meccaniche e migliorandone di parecchio i materiali. Oggettivamente, è tantissima roba.
1. Twilight struggle
Ananda Gupta, Jason Matthews (2005)
Nel cuore di molti è ancora dov’era fino a pochi mesi fa: in cima alla classifica di boardgamegeek. Strabiliante riproposizione in chiave ludica della guerra fredda, Twilight struggle è un lungo e appagante card driven su scala globale, a cui a ogni azione dei giocatori (che impersonano gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica) corrisponde una reazione in un tempo e un luogo la cui definizione è totalmente demandata alle considerazioni strategiche. Unica pecca che forse – a parere personale – lede marginalmente l’ambientazione (altrimenti resa clamorosamente) è la possibilità di giocare le carte evento – il cui respiro storico è da urlo – come dei meri pretesti per delle operazioni sulla mappa; certo, va detto, questo giova in maniera esponenziale sia alla longevità che, soprattutto, alla profondità del titolo. Richiede fino a tre ore, questo gioco; ma le merita tutte.
Ma quali sono i giochi da tavolo più belli?
Ordunque, se siete arrivati fin qui, bravi.
Se avete saltato a pie’ pari tutta la classifica, buon per voi, che magari risparmiate qualche soldino.
Come già detto, la classifica che è risultata combinando insieme, in qualche modo, quella della Tana dei Goblin e quella di Boardgamegeek è una classifica che comprende quanto di meglio possa offrire questo settore (con qualche vistosa eccezione: personalmente noto la mancanza, tra gli altri, di Russian Railroads - sorta di punto-di-non-ritorno del piazzamento lavoratori, e di Battlestar Galactica, tra i più apprezzati e meglio ambientati cooperativi di sempre, peraltro sempre a firma di Konieczka).
Ora: quali sono i giochi da tavolo più belli?
Intanto occorre una premessa alla postfazione: a parte qualche caso che pure non è infrequente, in generale un gioco
bello – quello che ha portato allo stato dell’arte la sua meccanica di riferimento, quello che nella sua essenzialità è al limite della perfettibilità, quello che avresti voglia di giocarlo anche se sono le due di notte e il giorno dopo devi alzarti alle cinque – è anche uno dei cosiddetti classici. Ovverosia quei giochi che non sentono il peso degli anni e che a ogni partita sono freschi e nuovi come appena comprati.
Una persona che si è avvicinata da poco a questo meraviglioso mondo in continua espansione e che ha scontato l’inevitabile esplosione iniziale di forme, colori e materiali da urlo, dovrebbe rendersi conto presto – se non per volontà, quantomeno per il suo portafoglio – che, se vuole farsi una sua formazione ludica e, nel tempo stesso, dare dignità, spessore e verosimile completezza alla sua collezione, è proprio tra questi monumenti immarcescibili che deve cercare.
Per fare un esempio, il piazzamento lavoratori tira tanto, sempre; ma – al netto di titoli appariscenti, sicuramente validi che escono ogni anno – è possibile scoprire che un cinghiale stagionato come Caylus o Agricola abbinati a un maialino ormai svezzato come Russian Railroads, possano magari già saziare, senza bisogno di dover necessariamente ingrandire il porcile.
Lo stesso discorso può essere valido per molte di queste più o meno vecchie glorie: per limitarsi a pochi esempi,
Alta tensione e il meraviglioso
Puerto Rico,
Twilight struggle e
Battlestar Galactica,
Through the ages e
Die Burgen von Burgund, con le loro meccaniche oliate e il loro bilanciamento, la loro immersività e il loro regolamento sorprendemente facile da ricordare, hanno di che soddisfarvi per una vita intera.
Un gioco da tavolo è bello perché piace
Detto questo, sia chiaro, tutte le classifiche, anche le più attendibili, non possono essere esaustive, perché è sacrosanto che possa essere che un gioco che io considero bello non sia tale già per il mio miglior amico.
Questo è vero, beninteso, anche e soprattutto per i classici: non tutti sono disposti a investire quattro ore in Through the ages o a soprassedere alla rozzezza dei materiali della collana Alea.
Va da sé che probabilmente è più facile, dovendo andare a colpo sicuro, affidarsi al nuovo; per fare un esempio, è decisamente probabile che con un gruppo di giocatori più o meno nuovo a colpire nel segno sarà
Imagine (riuscitissimo e, almeno nel breve termine, micidiale) e non il validissimo, ancorché esigente,
The resistance: Avalon.
Mettiamola così: immaginate di piantare dei paletti, come a delimitare i confini di due insiemi, contenenti ciò che piace e che si vorrebbe comprare in uno e ciò che si riuscirà effettivamente a giocare (per tempo, amici, voglia) nell'altro. All’intersezione di questi due insiemi – che c'è, tranquilli – ci saranno tantissimi giochi belli fuori, diversi giochi belli dentro e qualche classico invecchiato benissimo. Ecco: cominciate da questi.
Con un’avvertenza: a volte, proprio perché in fondo cerchiamo un bello che però ci faccia divertire, forse, di contro, è proprio il nuovo, l'esteticamente piacevole e l'immediatamente intelligibile, quello che – per motivi i più svariati – fa al caso di un giocatore. A maggior ragione in virtù del fatto che (parere personale, ma secondo me imprescindibile) non esistono giochi da avere (non ci sono titoli che, un po’ fastidiosamente, vengono definiti must have. Davvero. Credetemi: non esistono).
La scelta di un gioco da tavolo, così come l'idea di bellezza, è insomma soggettiva: ci sono titoli che divertono e titoli che non divertono, ci sono titoli che troviamo belli e titoli che troviamo brutti.
Per dire: io adoro la trilogia prequel di Star Wars.